“Raccomandazione? No, network”: la mia intervista per Silhouette Donna

Sono stato intervistato, ancora una volta, da Silhouette Donna sui temi del lavoro. Mi hanno chiamato in quanto tengo corsi sulla ricerca del lavoro online e in quanto coautore di "Job War".
In particolare ho parlato di networking, tant'è che il titolo dell'articolo (sul numero di maggio 2018), a firma Francesca Tozzi, è "Raccomandazione? No, network".

Questa la trascrizione dell'articolo:

Raccomandazione? No, network

Se da una parte dobbiamo abbandonare la brutta abitudine di usare le conoscenze per trovare lavoro, dall’altra coltivare rapporti aumenta le possibilità di impiego.

Gente allegra e un po’ pigra che trova lavoro grazie a spintarelle e scambi di favori. Stiamo parlando degli italiani, almeno secondo cliché duri a morire. Quanto c’è di vero in tutto questo? Secondo un’indagine dell’Istat sul mercato del lavoro focalizzata sulla fascia tra i 15 e i 34 anni, nel 2017 quattro giovani occupati su dieci hanno raggiunto “l’ambito posto” grazie alla segnalazione di parenti, amici o conoscenti. Un giovane su cinque, segnala l’Istat, ha trovato un’occupazione facendo richiesta diretta a un datore di lavoro, solo il sei per cento tramite centri per l’impiego e agenzie per il lavoro.

«Quello che ho riscontrato nella mia esperienza di analista del mondo del lavoro e formatore è che alcuni strumenti considerati ancora prioritari come il curriculum vitae e la lettera di accompagnamento sono sempre meno efficaci mentre funziona sempre benissimo sfruttare le conoscenze» spiega Gianluigi Bonanomi, esperto di web, social media e coautore del libro Job War (Ledizioni), tutto dedicato alle diverse strategie di ricerca del lavoro di Millenial e over 40. «In negativo si parla di raccomandazione. Proviamo però a considerare questa abitudine in un’ottica non necessariamente negativa. Tutti noi apparteniamo a una rete, a un network, costituito da legami forti e deboli: i primi con i familiari, i secondi con amici, colleghi, conoscenti. Secondo gli esperti di recruitment la maggior parte delle opportunità non emerge più dai legami forti ma da quelli deboli e se per trovare lavoro si utilizzano anche le proprie conoscenze dirette e indirette non c’è niente di cui scandalizzarsi».

Una prassi da premiare

Proviamo a metterci nei panni dei recruiter: cercare un lavoratore andando per agenzia o acquistare spazi in siti specializzati come Monster può costare a un’azienda dalle centinaia alle migliaia di euro. Per questo quando si apre una posizione, si attiva subito il network interno e si chiede ai responsabili di reparto e ai lavoratori se conoscono qualcuno. Il presupposto è che questi, conoscendo l’azienda e le sue esigenze, punteranno su risorse con le caratteristiche giuste mettendoci la faccia.
In alcune realtà questo meccanismo, che di fatto avviene dappertutto, è talmente istituzionalizzato che se un dipendente presenta qualcuno che poi viene assunto perché ritenuto idoneo, cioè se la segnalazione va a buon fine, riceve un bonus (per esempio, General Electrics in Italia).
«In questa ottica il networking non va visto in modo negativo, anzi, è una delle attività che chiunque dovrebbe portare avanti nel corso della sua giornata, non solo chi è a caccia di un’occupazione ma anche chi sta cercando collaboratori, investitori, partner. E se perdendo il lavoro, voleste far fruttare il vostro network, non potete certo cominciare il giorno stesso: essere sul mercato vuol dire costruire e tenere i contatti con le persone che potrebbero esservi utili al momento giusto» sottolinea Bonanomi.

L'importanza della pausa pranzo

Una delle regole fondamentali per fare networking arriva dagli Stati Uniti: se puoi, non mangiare mai da solo o sempre con le stesse persone. Che sia la pausa pranzo per chi già lavora o una qualsiasi occasione conviviale, fosse anche solo un caffè, va messa a frutto.
«Non sottovalutate nessun tipo di incontro o conoscenza» suggerisce Bonanomi. «Secondo la teoria dei sei gradi di separazione tutti noi siamo collegati da una catena di relazioni con non più di cinque intermediari. Cercate quindi di essere sempre aperti a nuove conoscenze. E siate generosi nel dare informazioni prima di pretenderle: vi tornerà indietro dal vostro network».

Mai senza biglietti da visita

Per rispondere in modo efficace alla domanda di rito “di cosa ti occupi?” scrivetevi e imparate una breve presentazione della durata di circa un minuto, quello che gli americani chiamano“elevator pitch".
«Fare “personal branding” durante una pizzata con sconosciuti potrà suonare strano ma uno
di loro potrebbe in seguito intercettare, in modo diretto o indiretto, la ricerca di un profilo simile al vostro: se lo avete colpito, gli si accenderà una lampadina e vi chiamerà» chiarisce l’autore di Job War«Usate anche i contesti informali perché potrebbe essere presente qualcuno in grado di cambiare la vostra vita professionale. Quando ci sono degli incontri di settore o aperitivi di networking di professionisti cercateli e siate presenti. Usate una o due serate a settimana per andare a convegni, seminari, corsi d’aggiornamento e formazione. Portatevi un biglietto da visita e parlate con chi avete di fianco, stabilendo un contatto perché non sapete ancora dove vi potrà portare. Ricordatevi che, quando incontrate una persona, state incontrando anche tutta la sua rete».

La lettera di presentazione

Nel mondo anglosassone, quando qualcuno lascia un lavoro, è quasi un obbligo per il suo superiore scrivere una segnalazione, detta anche referenza. In Italia questo non succede ed è un peccato perché una cosa è presentarsi dicendo di essere bravi, un’altra è che lo dica un ex datore di lavoro.
«Il meccanismo di persuasione funziona così: il nuovo, potenziale datore di lavoro si potrebbe immedesimare nel precedente sotto un duplice aspetto: notando che il lavoratore o collaboratore è stato talmente bravo che il suo capo ha scelto di sostenerlo, mettendoci la faccia; oppure pensando che se ha risolto così brillantemente i problemi di quell’azienda, potrebbe rivelarsi prezioso in un contesto simile» spiega Bonanomi.
«In questo senso sarebbe meglio che l’ex capo non rimanesse sul generico ma facesse riferimento nella sua segnalazione a progetti concreti, problemi risolti, obiettivi raggiunti. La stessa cosa può essere fatta anche da un collega, un collaboratore, un conoscente. Più segnalazioni ci sono, meglio è».

Bando alla timidezza

Come assicurarsi quindi queste segnalazioni? Per prima cosa superate le timidezze e le remore usando la psicologia. Date prima di ricevere, facendo leva sulla reciprocità: se avete scritto cose positive su una persona, questa si sentirà un po’ in obbligo di ricambiare, anzi non vedrà l’ora di sdebitarsi. Magari fategli capire che potrebbe portare beneficio anche a lei in termini di rete. Se chiedete in modo discreto e gentile, senza fare stalking, nessuno vi dirà di no. A maggior ragione un manager, perché chiederne il giudizio è riconoscerne implicitamente il peso e l’autorevolezza.

Non dimenticare i social

Oggi poi con social network specializzati come Linkedin tutto è più semplice e immediato. «Nel momento in cui scrivete la vostra lettera di candidatura online sottolineando l’esperienza o i successi che avete maturato in un settore, segnalare la testimonianza che il precedente datore di lavoro vi ha lasciato su Linkedin darà alle vostre parole un valore maggiore. E se le segnalazioni saranno più di una, tanto meglio. È lo stesso meccanismo di Tripadvisor: quando dovete scegliere un hotel o un ristorante non vi interessa quello che dice la struttura ma la recensione dei vostri pari, quella che in gergo si chiama “peer review”. E se in tanti dicono che è ottimo, sarà così: che ragioni avrebbero tutti di mentire? Il vantaggio del digitale rispetto alla classica lettera di referenze è che le testimonianze possono essere veicolate attraverso il proprio sito o blog, o inserite, appunto, in una presentazione dall’impostazione più moderna» conclude l’esperto.

Puoi scaricare l'articolo in PDF qui:
Silhouette_Donna_articolo_networking_raccomandati_intervista_Gianluigi_Bonanomi

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