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La recensione di “Stop the scroll” su Businessweekly

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Il 27 settembre 2020 il portale Businessweekly ha pubblicato questa recensione di Stop the scroll.

Stop the scroll – Come scrivere contenuti efficaci grazie al neuromarketing

Scrivere contenuti capaci di attirare l’attenzione e provocare l’azione desiderata è la chiave per strategie social efficaci.

Gianluigi Bonanomi, giornalista ed esperto di comunicazione, ha ideato un metodo che sfrutta le più recenti conoscenze di neuromarketing e le mette al servizio dei content editor.

Stop the scroll descrive il metodo O.P.E.R.A.: Obiettivi, Perché, Emozione, Ragione, Azione.

Un contenuto deve essere scritto partendo da un obiettivo ben definito, con un perché dei lettori da soddisfare, componenti emozionali e razionali (questi più importanti di quelli emozionali) e una call to action chiara.

Le conoscenze di neuromarketing espresse nel manuale permettono di migliorare rapidamente la qualità dei propri contenuti, e di verificarne subito la miglior resa.

Il linguaggio è fluido e scorrevole – come ci si aspetta da un manuale di comunicazione – e rende Stop the scroll una piacevole lettura per qualsiasi addetto al content aziendale.

Stop the scroll

Editore: Ledizioni

Uscita: 2020

Autori: Gianluigi Bonanomi

Acquista su Amazon

 

Visual + umorismo: la ricetta di Helder Monaco per lo “stop the scroll” su LinkedIn

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Ho conosciuto Helder Monaco su LinkedIn. Mi hanno colpito subito la sua sagacia e la sua competenza, e ho deciso di fargli tre domande sul social network professionale per eccellenza.

  1. Da ex grafico ed esperto di social, quali sono i tuoi “trucchi” per arrestare lo scroll dei lettori si LinkedIn?

Cercherò di rispondere ma premetto di avere un campione non statisticamente rilevante e molte cose sono intuizioni tutte da dimostrare.

Innanzitutto partiamo dal contesto: il nostro feed. Quello che vediamo ogni giorno varia, ovviamente da utente a utente, però possiamo individuare dei pattern di posting abbastanza comuni nella community da poter fare alcune ipotesi che regnino in maniera più o meno omnia nella Home di tutti.

Mi spiego meglio. Spostiamoci momentaneamente su Instagram: questo social ha decretato la massificazione dell’uso dell’immagine fotografica. Attenzione, ho detto “massificazione dell’uso dell’immagine fotografica” e non “fotografia” perché stiamo parlando di approcci drasticamente diversi. Non voglio mettermi a fare snobismi da “si stava meglio quando c’erano i rullini a 36 pose”; sto analizzando la differenza che c’è fra il concetto di street photography e instagram. Apparentemente fotografano circa le stesse cose ma il presupposto è drasticamente diverso: la street photography inquadra quello che succede all’esterno del fotografo, instagram è prevalentemente basato sul fotografo in sé. Dai selfie al ritrarre le cose che succedono al fotografante, è tutto incentrato sulla persona e l’obiettivo ultimo è il like e non il produrre una bella foto di per sé. Quindi tutto questo ha portato le persone comuni, ovvero persone che fotografano ma non sono appassionate di fotografia, a riprodurre “le foto che fanno gli altri”:  inquadrano le stesse situazioni, dallo stesso punto di vista, costruendo le immagini con gli stessi identici criteri  (anche perché esistono a loro volta guide che insegnano a fotografare in quel modo preciso).

Mi sono un po’ dilungato e ti starai chiedendo: OK, ma cosa c’entra tutto questo con LinkedIn? C’entra, perché anche LinkedIn ha i suoi pattern: su Instagram vediamo la colazione ripresa dall’alto con la tavola bella ordinata, LinkedIn ha le classiche foto da photostock con i manager che si stringono la mano. Anche LinkedIn ha un insieme di pattern che derivano in larga parte dall’immaginario delle brochure da terziario avanzato. Quindi il fluire di immagini di quel tipo è un contesto all’interno del quale ci dobbiamo porre il problema su come spiccare. Ergo, supponendo che la mia bacheca abbia la stessa estetica del mio potenziale cliente, devo arrovellarmi il cervello e pensare a cosa potrebbe differenziarmi dai miei concorrenti – concorrenti che tipicamente sono abbastanza “ingessati” (in questo caso parlo di “io” ma in realtà sto pensando a un me ipotetico che lavora in una normale azienda del terziario, non a un pazzo che ha “LoL” nel nome dell’attività).

Un aiuto può arrivare dalla empathy map e dal conflitto che potrebbe esserci fra il blocco “say & do”, ovvero quello che dico/faccio pubblicamente, e il “think & feel”, ovvero quello che penso effettivamente ma non dico in pubblico perché potrebbe andare in contrasto con l’ingessato del mio “say & do”. Faccio un esempio: i commerciali sono probabilmente il tipo di persone più ingessate nel bestiario del terziario, però la pagina Sales Humor che sforna meme per venditori ha un successo e un engagement strabordante (e da quel poco che posso intuire monetizza molto bene la sua audience).

Questo caso è interessantissimo perché fa leva sull’elemento empatia. Elemento che è praticamente bannato dalla comunicazione di molte aziende “leader di settore che offrono servizio a 360°”.
Quindi, pur non esistendo ricette applicabili in tutti i casi, mi soffermerei a ragionare su l’aspetto umanistico del nostro target per creare messaggi, visivi o testuali, che risultino accattivanti.

  1. Che immagini preferisci (foto, grafiche, disegni, infografiche, ecc.) su LinkedIn?

Quelle che preferisce il target. Dai miei modestissimi e circoscritti test ho notato che le immagini più accattivanti per il target generano maggiore “stop scroll”. Esempio: i link esterni alla piattaforma sappiamo che sono penalizzati, nonostante questo ho un post che una reach di quasi 5600 view. Considerando che ho una rete di contatti totale di 4400 persone, è evidente che quel post ha avuto le view perché risultava, secondo i parametri di LinkedIn, di interesse. Ora, il post in questione era relativo a un arguto ragazzone creativo che ha fatto un CV creando una minifigure lego. Notizia simpatica con una bella foto di anteprima: la confezione del cv in formato omino LEGO. I Lego interessano in modo particolare almeno a una 40ina di persone della mia rete di contatti, lo dico perché compare la parola nei loro profili ed essendo loro formatori Lego Serious Play. Quindi possiamo dire che se qualcuno di loro inciampa nel mio post, quasi sicuramente si sofferma; a meno che non abbia già visto l’articolo 20 volte. A questi aggiungiamo simpatizzanti e nostalgici di vario grado: Lego è praticamente un topos dell’infanzia della maggior parte delle persone, in senso assoluto quindi anche degli utenti LinkedIn. Inoltre, facendo ulteriori speculazioni sul nostro target, è anche probabile che li abbiano recentemente presi in mano con la prole.
Quindi in quel caso sono abbastanza sicuro che sia l’immagine per come è composta, ovvero un’immagine fotograficamente corretta, e per quello che significa *per il lettore*. In questo caso specifico entra in ballo anche il fatto dell’argomento “candidature”: è sempre un tema di per sé caldo su LinkedIn, su cui molti hanno da dire la loro – non a caso il mio status faceva una battuta sul CV europeo.
Quindi, suppongo, dal mio punto di vista analiticamente circoscritto, che ci siamo trovati di fronte a una tempesta perfetta di fattori.
Va anche detto che il mio post aveva una finalità più editoriale che commerciale, infatti era correlato, a latere, con il mio business, ma nel post non c’è una CTA “HEY SE TI INTERESSANO METODOLOGIE INNOVATIVE IN AZIENDA BASATI SU LEGO, CONTATTAMI!”, quindi possiamo supporre che le interazioni che si sono poste in essere sono state incentivate da questo dettaglio del copy.
In pratica: il mio era un post per invitare a un conviviale scambio di battute/opinioni, più che fare hard selling.

  1. Fino a dove sei disposto a spingerti per attirare l’attenzione?

Domanda bella succosa e divertente!

Partiamo cosa è considerato postabile/socialmente accettabile su LinkedIn: tendenzialmente c’è una soglia diversa rispetto a Facebook, spesso la media dei contenuti è più “sobria e abbottonata” rispetto a quello che potremmo trovare su Facebook. Personalmente cerco principalmente di creare contenuti che siano spunti interessanti e li condisco con un po’ di umorismo, magari non mi concedo il sarcasmo del Dr. House che potrebbe offendere qualcuno che non coglie appieno l’allegoria.

Ho visto spesso far leva sulle polarizzazioni delle persone, per una roba del genere non so se ho il fisico: serve essere allenati nella polemica a livelli “ironman” (la gara sportiva non il supereroe Marvel). Chissà magari un giorno scopro che basta postare “faccio questo servizio, clicca per prenotare!” e funziona.
Proverò e poi ti so dire.

Il metodo O.P.E.R.A. per creare contenuti online che convertono

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Da anni tengo corsi sulla comunicazione digitale e un bel giorno mi imbattei in questa immagine:

Vi erano alcune indicazioni molto interessanti: l’idea di inserire l’immagine di una persona, un volto, oppure quella di usare alcune armi di persuasione note, come la riprova sociale (social proof). Ma un altro dettaglio mi saltò subito all’occhio: nell’analisi del post sponsorizzato di Hootsuite era evidenziata la distinzione tra elementi razionali ed elementi emotivi.

Iniziai a riflettere su questa dicotomia e mi venne in mente la mia passione per i romanzi storici. Perché sono più coinvolgenti e piacevoli di un libro di storia? Per il mix di razionale (la cronaca dell’epoca) ed emozionale (le vicende dei protagonisti): il film “Il nemico alle porte” è certamente più coinvolgente di un documentario sulla battaglia di Stalingrado perché la Storia con la S maiucola si mischia con la storia con la s minuscola del cecchino Vassili Zaitsev, soprattutto nello scontro con il tiratore nazista Maggiore Koenig. Ma è quest’ultima storia che coinvolge.

In quel momento però, non avendo mai sentito parlare di neuromarketing, archiviai l’informazione in qualche recondita zona del cervello, non scandita da alcuna fMRI, senza farmene più nulla.

Che cos’è e come funziona il metodo O.P.E.R.A.?

Negli anni successivi incontrai molti modelli che spiegavano come creare contenuti che funzionano, per esempio A.I.D.A. (Attenzione-Interesse-Desiderio-Azione) o P.A.S. (Problem-Agitate-Solve) o ancora S.E.M. (Strategic Experiential Module), ma in questi casi, come in altri, non trovavo quel giusto mix di emozionale e razionale, ma soprattutto non rappresentavano modelli semplici, concreti ed efficaci per guidare gli studenti dei miei corsi nella realizzazione di contenuti che convertono. Allora mi sono creato il mio modello personale: O.P.E.R.A.

Parto dal principio. O.P.E.R.A. è un acronimo che sta per:

  • OBIETTIVO
  • PAIN
  • EMOZIONALE
  • RAZIONALE
  • AZIONE

Questo schema non serve solo per interpretare i contenuti online ma vuole essere un modello per la creazione di un contenuto sul Web in grado di convertire un lettore (prospect) in un lead. Quindi non è adatto a qualsiasi contenuto, ma a quelli che vogliono spingere i lettori ad azioni concrete.

O.P.E.R.A. funziona così, ecco la spiegazione di ogni voce.

OBIETTIVO: prima della costruzione di un contenuto devi partire dal perché. Perché stai creando questo contenuto? Che cosa vuoi ottenere? Chi vuoi coinvolgere, quale target? Sono tutte domande indispensabili, senza le quali si rischia di fare cilecca.

PAIN: dopo aver individuato l’obiettivo della comunicazione e, quindi, il target di riferimento, devi individuare il problema che toglie il sonno a chi legge il contenuto, o al limite il suo bisogno impellente.

EMOZIONALE: prima ancora di conquistare il lettore con offerte irresistibili, devi attirarne l’attenzione. In due modi: con un ottimo contenuto visuale per ottenere lo “stop the scroll” (fermare il frenetico scorrere dei contenuti in una bacheca virtuale, come fa la scimmia che vedi sopra) e con un altrettanto buon copy, per dimostrargli che farebbe bene a leggere oltre. Immagine e testo non devono essere ridondanti: devono dire cose diverse, complementari, per completare il messaggio.
Gerald Zaltman sostiene, al pari di Daniel Kahneman, che la nostra “mente” sia composta da elementi consci (di cui siamo consapevoli) ed elementi inconsci (di cui non siamo consapevoli). Quello che è sconvolgente delle intuizioni di Zaltman è che il 95% della nostra attività mentale ha luogo nella mente inconscia, mentre spesso si presuppone che i consumatori possano analizzare e descrivere con facilità le proprie emozioni e processi decisionali (un tempo si parlava di uomo razionale, homo oeconomicus).

RAZIONALE: ogni volta che realizzi una strategia di marketing, stai facendo una promessa a qualcuno. Nel caso specifico prometti di risolvere il suo problema, quindi devi evidenziare il beneficio del bene o servizio proposto. Il lettore si chiede “What’s in it for me?”. Bene, digli chiaramente che cosa ci guadagna.

AZIONE: la call to action finale, come nel modello A.I.D.A., è il naturale approdo di tutta la comunicazione; è come il gol nel calcio, dopo un’azione manovrata e un bell’assist. Non sempre è scontato: ti è mai capitato di andare a un evento bellissimo ma di uscirne con la domanda “e quindi?”. L’utente vuole essere guidato.

Esempi di applicazione del metodo O.P.E.R.A.

Ecco il metodo O.P.E.R.A. in azione per questo post di GoDaddy (piattaforma per la registrazione dei domini):

Questo post sponsorizzato di ROMI Agency rispetta il mio metodo O.P.E.R.A.: c‘è un chiaro Obiettivo (funnel) con chiaro target (responsabili marketing), un Pain (comunicazione in tempo di crisi), una parte Emozionale sia visuale (Lego con effetto nostalgia, trigger word come “paura” e “nuovo”) e Razionale (dati a supporto – killer fact – azioni “concrete”, casi di studio “reali”, guida “pratica”), oltre alla chiara call to Action finale (Scarica l’eBook).

La prima presentazione del metodo O.P.E.R.A. al Point di Dalmine

Il metodo O.P.E.R.A. è stato presentato per la prima volta al pubblico durante un seminario di Bergamo Sviluppo al Point di Dalmine. Ecco il video integrale della presentazione:

Queste le slide che ho usato durante la presentazione:

Metodo_Opera_Gianluigi_Bonanomi

Queste alcune foto e riverberi social dell’evento:

Il metodo O.P.E.R.A. nel corso di neuromarketing della Fastweb Digital Academy

Il corso per la Fastweb Digital Academy

Il metodo O.P.E.R.A. è alla base del corso di neuromarketing per la creazione dei contenuti social che tengo dal febbraio del 2020 per la Fastweb Digital Academy:

Ecco che cosa dice chi ha seguito il corso:

Il metodo O.P.E.R.A. sui social

L’azienda Leviant ha deciso di dedicare una serie di post Instagram al metodo O.P.E.R.A.:

Il libro “Stop the scroll” di Ledizioni

Nel settembre 2020 è uscito il libro “Stop the scroll” che approfondisce proprio il metodo O.P.E.R.A.

Ne parliamo?

Se vuoi saperne di più sul metodo O.P.E.R.A. o fare un corso per la sua applicazione pratica, scrivimi:

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