Articoli

[VIDEO] Carmelo Bene e il consum(ism)o digitale

, ,

In questo video parto da uno spezzone della leggendaria puntata del Costanzo Show dove Carmelo Bene era protagonista di un “uno contro tutti”. La sua frase “Non acquistate nulla, siete acquistati” mi ha ispirato una serie di riflessioni:

  • Perché su Netflix abbiamo personalizzazione e ampia scelta ma finiamo tutti a vedere le stesse cose?
  • Cosa c’entrano gli studi di Temple Grandin sul macello dei bovini con i funnel del digital marketing?
  • Perché il formaggio è gratis solo nella trappola per topi?

Buona visione:

Cultura e digitale: come i classici e il pop aiutano a capire Web e social

Per vedere altri video su come classici e cultura pop possono spiegarci il mondo del digitale, fai clic qui.

[VIDEO] Che cos’è il dataismo? La lezione di Harari

, ,

Per me Harari, lo storico israeliano, è un genio.

L’ho scoperto grazie a Sapiens, ne ho avuto la certezza leggendo Homo Deus. In questo testo, e poi con accenni anche in 21 lezioni per il ventunesimo secolo, Harari parla del dataismo: una sorta di religione legata al fenomeno dei big data.

Per farla breve: inizialmente l’uomo aveva assegnato l’autorità sulla propria vita agli dei. Poi, per esempio durante l’Illuminismo, l’aveva ripresa. Ora deve fare un passo indietro, travolto da dati e algoritmi: la mole di informazioni da gestire è immensa e l’uomo non sa  più trasformarla in conoscenza (e saggezza).

Ne parlo in questo video, dove trovi alcune informazioni su animismo, big data, dataismo e altro. Buona visione!

L’intervista a Yugen Podcast

Ho parlato della mia passione per Harari anche in un’intervista al podcast Yugen:

Cultura e digitale: come i classici e il pop aiutano a capire Web e social

Per vedere altri video su come classici e cultura pop possono spiegarci il mondo del digitale, fai clic qui.

[VIDEO] I Matia Bazar e la trigger word “NUOVO”

,

In questo video della serie “Cultura e digitale” uso un verso della canzone “Solo tu” dei Matia Bazar (“Solo tu mi sai dare cose vecchie sempre nuove da sognare”) per parlare della emotional trigger word “Nuovo”:

Checklist: perché e come farle

Per checklist si intende un elenco delle voci corrispondenti ai controlli da eseguire nelle varie fasi di operazioni complesse. Le uso da anni ormai, senza averne particolare coscienza (e non solo sul lavoro), ma dopo aver letto il libro “Checklist. Come fare andare meglio le cose” di Atul Gawande, medico statunitense, sono diventate un’ossessione.

La checklist di David Lee Roth

Gawande, nel suo libro, racconta diversi aneddoti. Mi ha particolarmente colpito ritrovare la storia dei Van Halen e delle M&M’s marroni. La storia, che avevo già sentito e letto più volte, è questa. I Van Halen sottopongono agli organizzatori dei concerti un contratto di centinaia di pagine, con decine di clausole. Tra queste il mitico articolo 126 recita:

L’intero show verrà immediatamente cancellato e la band riceverà il pieno compenso se nell’area di backstage saranno presenti M&M’s marroni.

Spesso si racconta questa storia per confermare il fatto che le rockstar siano capricciose, eccessive, ridicole. Gawande spiega invece che la clausola delle caramelline marroni era una sorta di trucco per vedere se la checklist delle cose da fare – molte delle quali potevano salvare delle vite – era stata letta davvero e completata tutta.

La fallibilità umana

Negli anni Settanta i filosofi Gorovitz e MacIntyre pubblicarono un breve saggio sulla natura della fallibilità umana. La domanda a cui cercavano di rispondere era semplice: perché sbagliamo quel che ci proponiamo di fare nel mondo? Non siamo onniscienti né onnipotenti: per quanto potenziate dalla tecnologia, le nostre facoltà fisiche e mentali sono limitate. Gran parte del mondo dell’universo è, e resterà, al di fuori della nostra comprensione e del nostro controllo.
Esistono però ambiti fondamentali in cui il controllo degli eventi è alla nostra portata. In questi ambiti possiamo fallire solo per due motivi: ignoranza e, peggio ancora, inettitudine. Occorre una strategia che si basi sull’esperienza, sfrutti il sapere acquisito e ponga rimedio alle nostre inadeguatezze umane. Questa strategia esiste, sostiene Gawande, ed è molto semplice: è una lista, una lista di controllo, una checklist.

Perché fare le checklist?

Una parte sostanziale del lavoro richiesto ai progettisti di software, ai manager finanziari, ai vigili del fuoco, agli agenti di polizia, agli avvocati e alla maggioranza dei medici (come Gawande) è troppo complessa per essere seguita semplicemente a memoria. Una lista di cose da fare o di controlli, quindi un elenco di voci da spuntare, può risolvere il problema. E salvare delle vite, come nel caso delle procedure che impongono la rilevazione dei parametri vitali (temperatura, pulsazioni, pressione e respirazione) per un paziente ospedalizzato.
Chiaramente non tutti i problemi sono uguali. Anzi, sono di tre tipi: semplici, complicati e complessi. I problemi semplici sono quelli del tipo: “preparare un dolce a partire dagli ingredienti” e possono essere risolti semplicemente con una ricetta (che, a pensarci bene, è una checklist!). I problemi complicati sono quelli del tipo: “mandare un razzo sulla luna”; in qualche caso i problemi complicati possono essere scomposti in problemi semplici, ma soprattutto vanno affidati a specialisti (nel libro si spiega perché nei cantieri non esiste più un solo capocantiere). I problemi complessi, invece, sono per esempio quelli tipo “crescere un figlio”, dagli esiti sempre imprevedibili; una volta imparato come si fa a lanciare un razzo sulla luna è possibile ripetere la procedura con altri razzi, ma questo non vale per i figli.

Checklist: prima o dopo?

Occorre sempre stabilire se la checklist serve per una verifica di un processo, quindi è un mero elenco da verificare dopo aver svolto i compiti, oppure se deve guidare a compiere delle attività, e quindi è un elenco di operazioni da fare (per esempio una “linea guida”). Nel secondo caso le operazioni vanno spiegate con semplicità ma nel dettaglio.
In entrambi i casi l’obiettivo è quello del miglioramento continuo, per questo possiamo richiamare il cosiddetto modello del ciclo di Deming (ciclo di PDCA) con le quattro fasi (plan – do – check – act: pianificare – fare – verificare – agire) che devono ruotare costantemente.

5 strumenti per creare le checklist

Arriviamo all’aspetto pratico: quali strumenti possono risultarti utili per creare delle checklist? Gawande ovviamente non ne fa cenno. Ci penso io!
Il primo tool, che uso assiduamente da anni, è Evernote. Mi permette di prendere appunti da ogni device e, tra le modalità di organizzazione di una nota, presenta anche quella con caselle di controllo. Tra l’altro Evernote fornisce anche dei template gratuiti, come per esempio quello utilissimo delle checklist per i viaggi d’affari (qui).
Posto che le checklist possono essere creare anche con programmi di videoscrittura come Microsoft Word (vedi la guida qui), preferisco segnalarti qualcosa di più appetitoso. Il secondo strumento, gratuito, è WorkFlowy: permette di creare delle check list in cloud che possono essere condivise con i colleghi. Altri strumenti molto utili per creare checklist sono Trello (task manager che sta spopolando nelle aziende e che uso anche io con grande soddisfazione!) e il superprofessionale Process Street (ottimo l’elenco delle checklist già pronte: qui). Un tempo andava parecchio Wunderlist, ma ora non è più disponibile (qui diverse alternative di software per il project management).

A me capita di usare le checklist in mille occasioni. Per esempio al termine del mio corso sull’uso strategico di LinkedIn regalo una checklist con 15 cose da fare per ottimizzare il tuo profilo. Tu usi le checklist? Vuoi suggerirmi altri strumenti o trucchi? Scrivimi:

“Nello sciame”: 10 cose che ho imparato dal libro di Han

Byung-Chul Han, fino a un mese fa, non sapevo nemmeno chi fosse. Poi qualcuno mi ha suggerito di leggere il testo “Nello sciame. Visioni del digitale” di questo pensatore coreano di lingua tedesca e per caso ho letto un articolo online che parlava di lui; da lì al carrello di Amazon il passo è stato breve.


Letto in un batter d’occhio, il libretto “Nello sciame” mi ha stuzzicato parecchio. Nel testo, seppur breve (un centinaio di pagine con font a prova di orbo) ci sono tanti spunti. Ne ho voluti fissare 10 in ordine rigorosamente sparso, a mo’ di appunti.

  1. Ci inebriamo del medium digitale, senza essere in grado di valutare le conseguenze di simile ebbrezza. Questa cecità e il simultaneo stordimento rappresentano la crisi dei nostri giorni.
  2. Abbiamo bisogno di rispetto, pudore e distanza; invece la comunicazione digitale riduce le distanze. Sia fisiche che mentali. Han parla addirittura di esibizione pornografica della intimità: i social sono spazi di esibizione del privato.
  3. L’anonimato in Rete, il suo uso impulsivo, la mancanza di rispetto e di distanza portano al fenomeno degli shitstorm (montagna di letame, escrementi).
  4. La comunicazione ora è simmetrica: online si legge ma si può anche scrivere, produrre informazioni (si parla di prosumer). Questo nuoce al potere, che solitamente usa l’informazione in un’unica direzione. Politicamente parlando, tutti vogliono essere presenti ma non rappresentati.
  5. Avere troppe informazioni non significa prendere decisioni migliori, anzi. Al posto del big brother, avremo il big data.
  6. La massa online non ha massa fisica. È uno sciame digitale, non è una folla: non ha un’anima, non c’è un “noi”, ma è un insieme composto da individui isolati, da hikikomori (in giapponese coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale). I media elettronici, come la radio, radunano gli uomini mentre i media digitali li isolano.
  7. Viviamo un periodo di crisi letteraria e comunicativa. Assistiamo a un profluvio di pubblicazioni, ma viviamo un’era di stallo spirituale. Perché questo frastuono comunicativo disturba il nostro spirito. Il medium dello spirito è il silenzio.
  8. Lo smartphone, che promette libertà ma costringe a comunicare, è uno strumento per interloquire con sé, non con l’altro.
  9. La parola “digitale” deriva da dito, che conta. Invece la storia, le nostre storie, non sono fate per essere contate, ma raccontate. Il diario di Facebook, il flusso di tweet non sono racconti, né biografie: non c’è nulla di narrativo. Nel digitale si contano i like, gli amici, la simpatia: è la contabilità delle relazioni.
  10. Sta per iniziare l’era dei fantasmi digitali. Per esempio grazie all’Internet of Things gli oggetti potranno connettersi senza il nostro aiuto e comunicheranno tra loro: è un mondo spettrale, quello che aspetta.

Per acquistare “Nello sciame” da Amazon, fai clic qui: