“Nello sciame”: 10 cose che ho imparato dal libro di Han

Byung-Chul Han, fino a un mese fa, non sapevo nemmeno chi fosse. Poi qualcuno mi ha suggerito di leggere il testo “Nello sciame. Visioni del digitale” di questo pensatore coreano di lingua tedesca e per caso ho letto un articolo online che parlava di lui; da lì al carrello di Amazon il passo è stato breve.


Letto in un batter d’occhio, il libretto “Nello sciame” mi ha stuzzicato parecchio. Nel testo, seppur breve (un centinaio di pagine con font a prova di orbo) ci sono tanti spunti. Ne ho voluti fissare 10 in ordine rigorosamente sparso, a mo’ di appunti.

  1. Ci inebriamo del medium digitale, senza essere in grado di valutare le conseguenze di simile ebbrezza. Questa cecità e il simultaneo stordimento rappresentano la crisi dei nostri giorni.
  2. Abbiamo bisogno di rispetto, pudore e distanza; invece la comunicazione digitale riduce le distanze. Sia fisiche che mentali. Han parla addirittura di esibizione pornografica della intimità: i social sono spazi di esibizione del privato.
  3. L’anonimato in Rete, il suo uso impulsivo, la mancanza di rispetto e di distanza portano al fenomeno degli shitstorm (montagna di letame, escrementi).
  4. La comunicazione ora è simmetrica: online si legge ma si può anche scrivere, produrre informazioni (si parla di prosumer). Questo nuoce al potere, che solitamente usa l’informazione in un’unica direzione. Politicamente parlando, tutti vogliono essere presenti ma non rappresentati.
  5. Avere troppe informazioni non significa prendere decisioni migliori, anzi. Al posto del big brother, avremo il big data.
  6. La massa online non ha massa fisica. È uno sciame digitale, non è una folla: non ha un’anima, non c’è un “noi”, ma è un insieme composto da individui isolati, da hikikomori (in giapponese coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale). I media elettronici, come la radio, radunano gli uomini mentre i media digitali li isolano.
  7. Viviamo un periodo di crisi letteraria e comunicativa. Assistiamo a un profluvio di pubblicazioni, ma viviamo un’era di stallo spirituale. Perché questo frastuono comunicativo disturba il nostro spirito. Il medium dello spirito è il silenzio.
  8. Lo smartphone, che promette libertà ma costringe a comunicare, è uno strumento per interloquire con sé, non con l’altro.
  9. La parola “digitale” deriva da dito, che conta. Invece la storia, le nostre storie, non sono fate per essere contate, ma raccontate. Il diario di Facebook, il flusso di tweet non sono racconti, né biografie: non c’è nulla di narrativo. Nel digitale si contano i like, gli amici, la simpatia: è la contabilità delle relazioni.
  10. Sta per iniziare l’era dei fantasmi digitali. Per esempio grazie all’Internet of Things gli oggetti potranno connettersi senza il nostro aiuto e comunicheranno tra loro: è un mondo spettrale, quello che aspetta.

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