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La tecnologia in famiglia: intervista a Rai Radio 1 (Formato Famiglia) del 12 gennaio 2021
Il 12 gennaio 2021 sono stato intervistato, in diretta su Rai Radio 1, nella trasmissione “Formato famiglia” condotta da Diana Alessandrini e Savino Zaba.
Abbiamo parlato di due argomenti a partire dai miei due libri “Manuale per genitori di nativi digitali” e “Sharenting“:
- l’uso consapevole della tecnologia in famiglia;
- genitori che condividono troppo.
Qui puoi sentire l’intervista integrale della durata di 10 minuti:
Per altre interviste radio:
Sharenting: il video di presentazione del mio libro per Mondadori
Dal 4 giugno sarà in tutte le librerie Sharenting. Genitori e rischi della sovraesposizione dei figli online, il mio primo testo edito da Mondadori Informatica (qui trovi il comunicato stampa sul sito sharenting.it). Per spiegare il progetto ho girato un video con le cinque cose da sapere su questo fenomeno (sharenting = share + parenting), eccolo:
Qui è possibile rivedere la decima puntata del Late Tech Show dove è stato mostrato il video:
Il 4 giugno in libreria SHARENTING, il mio primo libro per MONDADORI
Quando questa mattina (8 maggio 2020) ho ricevuto il comunicato stampa di Mondadori Education che annunciava l’uscita, il prossimo 4 giugno, del mio primo libro per l’editore milanese ho realizzato che era tutto vero:
Il progetto, nato nel 2019, rappresenta una sfida: dedicare un intero libro di 120 pagine a un argomento nuovo, a un problema crescente e preoccupante: quello della condivisione (share) da parte dei genitori (parenting) di informazioni, immagini e video dei loro figli. In questo video presento il libro e il progetto, che a breve sarà anche un sito Web:
Scrivimi per avere informazioni sul progetto:
La mia intervista per TRV38 sullo sharenting
Durante la trasmissione Tadà della rete televisiva toscana RTV38 è stato mostrato un mio intervento in esterna dove spiego che cos’è lo sharenting e i tre motivi per i quali foto e video delle mie figlie non si trovano online. Ecco qui la trasmissione (il mio intervento è al minuto 1’18’’):
La seconda puntata di Genitori Tech per Mumadvisor sullo sharenting
Sharenting è l’unione di due parole inglesi: “share”, condivisione, e “parenting”, genitorialità. Si tratta, in pratica, dell’abitudine dei genitori di condividere sui propri profili social notizie e sopratutto foto e video dei propri figli. Una vera emergenza: per questo ho deciso di spiegare in questa seconda puntata del videoblog “Genitori Tech” di Mumadvisor, i tre motivi per i quali le foto delle sue bambine non sono online. Buona visione:
Social media: privacy, sicurezza e lati oscuri a Nessun Dorma (Espansione TV)
Perché i nostri dati sono così preziosi? Quando e come li cediamo? Come proteggerli? Venerdì 23 marzo 2018 ho avuto il piacere di partecipare alla puntata di Nessun Dorma su Espansione TV dedicata al tema Privacy insieme a Riccardo Saporiti, giornalista collaboratore di Wired Italia, Gianluca Lombardi di Mondoprivacy, e Luca Ganzetti, responsabile dell’azienda di sicurezza informatica Waylog, con cui abbiamo dato risposta a queste e altre domande.
Il video del mio intervento
In particolare ho parlato di nativi digitali, sharenting, social network e privacy, reputazione online, bufale, digital detox, fomo e rischi legali. Qui puoi vedere il video con i miei interventi:
Il link all’intera puntata
Ecco il link alla puntata intera: https://goo.gl/WSuZmk
“Genitori, no allo sharenting”: la mia intervista per MI-Tomorrow
Il magazine meneghino MI-Tomorrow mi ha intervistato sul numero del 27 febbraio 2018. Riporto integralmente l’intervista che puoi trovare a questo link. Dopo l’immagine puoi leggerne la trascrizione.
«GENITORI, NO ALLO SHARENTING»
La tecnologia non va demonizzata, ma compresa. È il punto di partenza di Prontuario per genitori di nativi digitali, il libro di Gianluigi Bonanomi e Fiorenzo Pilla scritto per colmare le lacune e raccontare alle famiglie rischi e opportunità dell’era digitale. «Perché i genitori, per la prima volta nella storia, si trovano a dover spiegare ai figli come utilizzare questi strumenti, senza averne le competenze», sottolinea Bonanomi.
Partiamo dal titolo. Perché si parla di nativi digitali?
«Quello dei nativi digitali è un mito in parte da rivedere. I ragazzi non sono così competenti in materia di tecnologia: ciò che manca è la consapevolezza. Perciò è importante che i genitori li affianchino. Ma stare al passo per gli adulti non è semplice, la direzione cambia continuamente».
In che modo?
«Per esempio i genitori spesso credono che il principale profilo social dei figli da tenere sotto controllo sia Facebook. Ma Facebook non viene praticamente utilizzato dalla fascia pre-adolescenziale, che lo percepisce come “vecchio”. I giovanissimi preferiscono social più immediati, come Instagram, Musical.ly o ThisCrush».
Come andrebbe gestita la tecnologia dagli adulti?
«Bisogna partire dalla logica. L’unico errore grosso è quello di proibire la tecnologia ai figli, escludendoli dalle dinamiche sociali. La tecnologia è semplicemente uno strumento, che può essere utilizzato molto bene oppure molto male».
C’è un’età giusta per iniziare?
«Non proprio. L’età minima stabilita per l’accesso alla maggior parte dei social è 13 anni. Anche per l’utilizzo dello smartphone credo sia l’età giusta, ma allo stesso tempo non penso nemmeno che ci siano grossi problemi ad anticiparla leggermente. L’importante è che vengano fissate delle limitazioni e delle regole, condivise da genitori e figli».
Quali potrebbero essere queste regole?
«Spegnere lo smartphone un’ora prima di andare a letto. Non utilizzarlo quando si studia o durante i pasti, perché quello deve rimanere un momento in cui si dialoga. E poi ciò che succede su Whatsapp va condiviso con i genitori. La tecnologia non deve essere motivo di scontro in famiglia, ma di incontro e condivisione».
Quali sono i miti da sfatare?
«Che i ragazzi, con la tecnologia, non comunicano più: non è vero, lo fanno semplicemente in modo diverso. Oppure che in rete non ci sono regole: falso. Valgono le stesse normative della vita reale, come diffamazione o ingiuria. E in più esistono anche regole specifiche per il web, tra cui cyberbullismo o fake news».
Che errori possono commettere i genitori?
«Il più terrificante è lo Sharenting, parola che proviene da share e parenting. I genitori che rovinano la reputazione dei figli, postando continuamente le loro foto sui social. I bambini sono persone che un domani avranno una propria immagine digitale e si troveranno associati a certe foto. Poi può subentrare anche una questione legale, oltre che di opportunità e di buonsenso. Uno studio, ad esempio, conferma che il 50% delle foto trovate nei database dei pedofili proviene direttamente dai genitori».
Sharenting: quando sono i genitori a mettere a rischio la privacy dei figli
Forse non avete mai sentito la parola “sharenting”, che al pari di sexting è la crasi di due parole inglesi di senso comune: share, condividere, e parenting, genitorialità. In pratica, come da definizione del Collins, si tratta dell’abitudine di condividere online foto e notizie dei figli da parte dei genitori.
Questo fenomeno ha assunto proporzioni preoccupanti: “Secondo uno studio dell’associazione inglese Parent Zone, pubblicato nel 2015, ogni anno un bambino appare in media in 195 istantanee pubblicate sul Web dal genitore; al compimento dei 5 anni il bimbo sarà stato protagonista di circa 1.000 scatti. Un altro studio pubblicato nel 2010 da AVG indicava che circa il 92% dei bambini americani di due anni è presente online. Alcuni appaiono nel Web prima ancora di nascere, vista la moda di postare le immagini ecografiche, mese dopo mese, come scatti d’autore” (Sole24Ore).
Altri dati sulla diffusione del fenomeno: un’indagine condotta nel 2013 dal sito di photo-sharing Posterista su 2.367 persone rivelò come i due terzi dei nuovi nati finiscono sui social nel giro di un’ora dalla nascita (la media è 57,9 minuti). Nel 77% dei casi finiscono su Facebook, il resto su Instagram e Flickr. Nel 62% dei casi sono i genitori stessi a postarne la foto, nel 22% altri membri della famiglia, nel 16% dei casi gli amici.
Perché condividiamo le foto dei nostri piccoli?
Sul sito Adolescenza.it si cita una ricerca (Schoppe-Sullivan et al., 2016) che ha coinvolto un gruppo di 127 donne. I risultati rivelano la tendenza delle neomamme a postare con regolarità foto e video dei propri figli sui social. Quali le vere motivazioni? “L’uso di Facebook e la condivisione di post con foto o video dei propri bambini si sono dimostrati più frequenti nelle donne che avvertivano maggiormente la pressione sociale e l’esigenza di dover mostrare un’immagine positiva di sé come mamme. Alla base di tale comportamento sembrano esserci insicurezza e perfezionismo che si manifestano nella ricerca di approvazione attraverso i ‘mi piace’ e i commenti positivi degli altri: maggiore è il numero di like e approvazioni online, più ci si sente sicure di sé come madri”. In pratica lo stesso motivo che spinge tutti a sovraesporsi, per esempio con i selfie: la ricerca di una dose di autostima.
C’è chi, come il blog Cosadamamme.it, difende il diritto di pubblicare le foto dei piccoli online, adducendo queste motivazioni: condivisione degli scatti con amici e parenti lontani, non importa se rubano le foto dei figli, i pedofili esistono anche offline, le immagini dei bambini sono sempre circolate liberamente (per esempio nei film), prendiamo continuamente decisioni in vece dei nostri figli e così via.
Il pericolo pedopornografia
Il Garante della privacy Antonello Soro, durante la relazione annuale al Parlamento del 2016, fece rilevare che i numeri di ricerche su Internet riguardo la pedopornografia era in netta crescita. Solo in quell’anno sono state quasi due milioni le immagini censite: il doppio rispetto all’anno precedente. Secondo il Garante la fonte involontaria di questo “mercato nero” sono i genitori che pubblicano foto dei loro bambini. Evidenza rivelata anche dalla ricerca dell’Australia’s Children’s eSafety: metà delle fotografie trovate negli archivi dei pedofili sono quelle che le mamme e i papà condividono sui social network.
Altri due (grossi) rischi
Non solo il rischio pedopornografia, tra le conseguenze possibili del sharenting. Come riporta l’Huffington Post, Stacey Steinberg, docente di legge al Levin College of Law (Florida) e direttrice del Centro per i bambini e la famiglia, spiega quali possono essere gli altri rischi: mettere il nome del figlio con associata la data di nascita li espone al rischio di furto di identità e pubblicare i loro spostamenti a quello relativo alla sicurezza. Secondo Steinberg, per concludere, non bisogna condividere su Internet nulla che non mostreremmo in pubblico.
La catena di Sant’Antonio
Nel 2016 una catena di Sant’Antonio travolse Facebook, facendo leva sull’orgoglio materno: «Sfida delle mamme. Sono stata nominata da XXX per postare tre foto che mi rendano felice di essere mamma. Scelgo alcune donne che ritengo siano grandi madri. Se sei una madre che ho scelto, copia questo testo, inserisci le tue foto e scegli le grandi madri». Si chiamava “Mum Challenge” e chiedeva alle donne di dimostrare, con tre scatti, la bellezza e la gioia di essere genitore, dopo essere taggate da un’amica o una conoscente.
In Italia la catena divenne virale, tanto da mettere in allarme la polizia postale che, sul suo profilo Facebook «Una vita da social», consigliò di fare attenzione: «Mamme. Tornate in voi. Se i vostri figli sono la cosa più cara al mondo, non divulgate le loro foto in Internet. O quantomeno, abbiate un minimo di rispetto per il loro diritto di scegliere, quando saranno maggiorenni, quale parte della propria vita privata condividere». La polizia ricordò inoltre che nel 2015 hanno ricevuto 485 denunce e hanno effettuato 67 arresti per reati legati alla pedopornografia. Nello stesso anno 13.283 siti internet sono stati monitorati e quasi duemila sono stati inseriti nella black list.
Implicazioni legali
Come riporta il sito ZeusNews, secondo The Local in Austria e Deutsche Welle una ragazza austriaca di 18 anni ha avviato una causa legale contro i propri genitori perché pubblicano su Facebook le sue foto intime e imbarazzanti di quando era bambina e rifiutano di rimuoverle. Si tratta di oltre 500 foto, condivise con i 700 amici dei genitori a partire dal 2009, quando la ragazza aveva undici anni: “Non conoscono né limiti né pudore. A loro non importava se ero seduta sul gabinetto o nuda nel lettino: ogni momento veniva fotografato e reso pubblico”, dice la ragazza, che ha fatto ricorso alla legge perché è “stanca di non essere presa sul serio dai propri genitori, che hanno ignorato sia le sue richieste verbali sia quelle fatte tramite il social network. Secondo quanto riportato da The Local, le foto includono cambi di pannolino e sedute sul vasino”.
Torniamo in Italia. Vale la pena citare un caso trattato dal Tribunale civile di Foggia: un padre separato aveva chiesto l’affido esclusivo della figlia minorenne perché riteneva la madre impossibilitata a occuparsi della piccola a causa della sua eccessiva dipendenza dai social network. In particolare il padre era contrario alla pubblicazioni delle foto di sua figlia sui social (soprattutto su Facebook) e ne chiedeva l’immediata rimozione. Il Tribunale di Foggia ha accolto la sua richiesta in relazione alla cancellazione delle foto della figlia minorenne dalle pagine Facebook dell’ex moglie, così argomentando in sentenza: “Attualmente non esiste una regolamentazione specifica sulla pubblicazione dei dati personali riferiti ai minori, né un divieto per i genitori per la suddetta pubblicazione che pertanto va ritenuta lecita. Ma ciò non vuol dire che il genitore può fare un uso smodato e indiscriminato delle immagini che ritraggono i loro figli. Il consenso alle esposizioni delle loro immagini deve essere espresso da entrambi i genitori esercenti la responsabilità fino al compimento del sedicesimo compleanno del minore medesimo. Ed è necessario l’accordo dei genitori per la pubblicazione online delle foto dei figli perché trattasi di una decisione che non ha carattere ordinario, ma straordinario” (Stato Quotidiano). Quindi il genitore che unilateralmente decide di pubblicare le foto del figlio (o della figlia) online, senza preventivamente acquisire il consenso dell’altro genitore, viola perciò le norme sull’esercizio della responsabilità genitoriale (vedi, oltre, la sentenza del tribunale di Mantova al riguardo). A maggior ragione se i genitori sono separati.
Vale la pena ricordare che, minori o meno, il nostro ordinamento vieta ogni pubblicazione di immagini o video altrui, in mancanza di preventivo consenso della persona ritratta.
Perché le foto delle mie due figlie non solo online?
Per concludere cito quello che racconto a ogni incontro sull’uso consapevole della tecnologia che faccio per i genitori di mezza Italia (vedi per esempio il corso sulla navigazione familiare). Le foto delle mie due bambine non si trovano online. Al di là delle questioni legali, i motivi sono sostanzialmente due. Primo: una volta che le foto sono pubblicate (ma anche inviate in privato su WhatsApp, sono perse; non ho più alcuna possibilità di controllarne la diffusione. Nell’era digitale i contenuti pubblicati hanno sostanzialmente quattro caratteristiche: i file che inviamo online rimangono potenzialmente per sempre (persistenti), sono copiabili senza limitazioni (replicabili), possono raggiungere un pubblico ampissimo (scalabili) e sono sempre trovabili grazie a parole chiave associate a foto e video (ricercabili).
Secondo: le mie bimbe sono persone, un domani avranno diritto a gestire la propria presenza online come meglio credono, senza essere associate alle foto che ho diffuso io. I nostri figli ci chiedono coerenza; come posso dire alle mie figlie di non sovraesposti e postare continuamente selfie se fino al giorno prima ho pubblicato io le sue immagini?
Il podcast
Ho parlato di questo tema in una puntata del mio podcast “Genitorialità e tecnologia“. Puoi ascoltarla direttamente qui:
Ascolta “1×06 Sharenting: genitori che condividono troppo” su Spreaker.