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Come comunicare la sostenibilità aziendale: l’esempio di Patagonia

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Nel libro “Let my people go surfing“, il Ceo di Patagonia Yvon Chouinard racconta la storia dell’azienda ma soprattutto i suoi valori.
In questo video mostro come Patagonia non si limiti alle chiacchiere, ma dimostri il rispetto per l’ambiente e le persone con azioni concrete, campagne pubblicitarie, scelte radicali e (NON) investimenti su Facebook:

[VIDEO] Serie TV, archetipi letterari e titoli online: da Breaking Bad ai titoli manzoniani e gattopardeschi

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Le serie TV sono la nuova letteratura, si dice: sicuramente pescano dai classici, dalle figure archetipiche come l’Odissea di Omero, l’Amleto shakespeariano o Sherlock Holmes.

Che cosa c’entra tutto questo con i titoli online?

Scoprilo nel video:

“Resistenza digitale”: il mio primo libro per Psicografici Editore [VIDEO]

Nel marzo del 2022 è uscito il mio primo libro per Psicografici Editore. In questo video racconto genesi e contenuti:

La sinossi del libro

Nell’era digitale, come diceva Rushkoff, non siamo utenti ma prodotti. Le multinazionali (per lo più americane) ci usano: raccolgono i nostri dati per fare profitto, ci profilano per vendere di più. Tutto questo a scapito della nostra privacy, spesso mettendo a repentaglio anche reputazione e sicurezza. Possiamo fare qualcosa per contrastare questo strapotere? La tecnologia non è solo il problema ma, volendo, anche la soluzione: per ogni software che ci sfrutta (qualcuno parla addirittura di “plusvalore digitale”) ne esistono altri, spesso liberi e gratuiti, che permettono di tornare in controllo della nostra vita digitale. Questo libro vuole essere un’introduzione al tema, alla portata di tutti: un esperimento di alfabetizzazione digitale con tanti esempi pratici, decine di trucchi e strumenti pronti all’uso.

La cover del libro

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Dove comprare il libro?

Resistenza digitale può essere acquistato direttamente sul sito di Psicografici Editore. Ed è disponibile su tutte le maggiori piattaforme di e-commerce.

[VIDEO] I 10 titoli di libri più brutti di sempre

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In questo video della serie “Cultura e digitale” prendo spunto da una citazione di Schopenauer per mostrare i libri più brutti di sempre, per titolo e cover:

Alla fine parlo del mio testo per Editrice Bibliografica:

 

 

Promuovere i libri con LinkedIn [intervista per il libro di Davide Giansoldati]

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Il 12 novembre 2020 è uscito il libro “Promuovere e raccontare i libri online“, testo di Editrice Bibliografica.

L’autore, Davide Giansoldati, mi aveva chiesto di dare un contributo. Ho scritto un paragrafo su come un autore può usare LinkedIn per promuovere il proprio testo. Eccolo:

LinkedIn è il social professionale per eccellenza: ormai ce ne siamo accorti anche in Italia, dove si registrano oltre 14 milioni di utenti. LinkedIn è sia un social network – una rete di collegamenti – ma anche un social media – uno strumento di comunicazione, di distribuzione (e scoperta) dei contenuti. Un luogo d’elezione anche per promuovere il proprio libro, a patto di farlo nel modo corretto.

Prima di tutto occorre sistemare il profilo personale per evidenziare il fatto che si è autori e il campo d’azione già a partire dalla headline, lo spazio vicino alla foto profilo (scrivere semplicemente “scrittrice” non ha alcun senso). Si può creare un banner con la foto della copertina del libro (magari un’istantanea di un firma-copie o di un’intervista a un festival). Occorre necessariamente inserire, nei Traguardi raggiunti, la nuova pubblicazione. Magari la pubblicazione è anche frutto di un progetto di ricerca, giornalistico, investigativo: vi è una sezione in LinkedIn anche per questo. Occorre poi disseminare il profilo di “parole chiave” inerenti il proprio lavoro. Il testo riguarda i fortini della prima guerra mondiale? Trova tutti i termini correlati (Grande guerra? Trincee?) e spargili qua e là.

Dopo la fase di posizionamento, viene quella più importante: la strategia legata ai contenuti. Ma c’è un problema: la stragrande maggioranza degli autori ha un ego importante! Lo so, sono autore anche io e il mio ego a volte risulta ipertrofico (questa frase l’ha scritto lui, non io). Questo è un limite nella fase di promozione del proprio testo. Una volta Dino Risi disse: “Quando vedo un lavoro di Nanni Moretti, mi viene sempre voglia di dirgli: spòstati e fammi vedere il film”. Ecco, caro autore, spostati perché non vedo la tua opera. Fai un passo indietro e dai valore: fammi vedere dei video (si possono caricare nativamente su LinkedIn dal 2019) dove non vendi il libro come in una televendita di materassi con in regalo una bici con cambio Shimano, ma dove parli del tema. Se è un saggio, parla del problema. Se è un romanzo, parla della storia e dei personaggi. Quando le biblioteche organizzano serate per la presentazione dei miei libri chiamandole “incontro con l’autore”, resisto e chiedo gentilmente di porre invece enfasi su un problema: per esempio, l’uso disfunzionale della tecnologia in famiglia. Ovviamente a meno che tu non sia Barbero o Baricco. Sempre a proposito di contenuti, non si parla solo di video: ideali anche link a interviste, infografiche, podcast e documenti: da qualche tempo si possono caricare anche PDF, perché non regalare un capitolo d’assaggio?

Butto lì una pillola di comunicazione persuasiva: non bisogna mai dire che il libro è interessante, sarebbe sgradevole e autoreferenziale. Non bisogna dirlo ma dimostrarlo! Per esempio se dicessi che il mio libro è stato piratato (si può scrivere “piratato” in questo testo?) allora nella testa di chi legge dovrebbe emergere l’idea, spontanea e quindi più forte, che se il libro meritava un’azione criminale a scopo di condivisione con altri online, allora è interessante davvero. Usare la “riprova sociale” di Cialdini è sempre una gran bella idea.

Chiudo con una considerazione: LinkedIn è anche un ruolo di relazione eccezionale. Un autore dovrebbe puntare forte anche su quello: non scriviamo per noi stessi.

Neuromarketing: 7 libri che devi assolutamente leggere

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Al termine dei miei corsi di “Neuromarketing per la creazione di contenuti social” i partecipanti mi chiedono sempre come approfondire questi interessanti temi. Allora ho preparato un video per presentare, tra i tanti, quali sono i sette libri fondamentali:

I link Amazon

Ecco i link dei testi:

  1. Il codice della persuasione
  2. Design diabolico
  3. Pensieri lenti e veloci
  4. Neuromarketing in pratica
  5. Pre-suasione
  6. Don’t make me think
  7. Neuromarketing

Informazioni sul corso

Scrivimi per info sul corso di neuromarketing per la creazione di contenuti social

[VIDEO] Comunicazione digitale: dieci libri indispensabili (più uno)

Sono moltissimi i testi che si pubblicano ogni anno sulla comunicazione ma solo alcuni sono diventati dei classici o comunque aggiungono qualcosa di davvero sostanziale. Tre le decine, forse centinaia che ho studiato, ne ho scelti 10. Anzi 11 (alla fine del video scoprirai perché). Si parla di personal branding, marketing, neuromarketing, psicologia, Web writing, storytelling, public speaking e altro ancora. Buona visione e buona lettura.

PS: nel video ne cito un altro sui dieci libri che mi hanno cambiato la vita; lo trovi qui:

Checklist: perché e come farle

Per checklist si intende un elenco delle voci corrispondenti ai controlli da eseguire nelle varie fasi di operazioni complesse. Le uso da anni ormai, senza averne particolare coscienza (e non solo sul lavoro), ma dopo aver letto il libro “Checklist. Come fare andare meglio le cose” di Atul Gawande, medico statunitense, sono diventate un’ossessione.

La checklist di David Lee Roth

Gawande, nel suo libro, racconta diversi aneddoti. Mi ha particolarmente colpito ritrovare la storia dei Van Halen e delle M&M’s marroni. La storia, che avevo già sentito e letto più volte, è questa. I Van Halen sottopongono agli organizzatori dei concerti un contratto di centinaia di pagine, con decine di clausole. Tra queste il mitico articolo 126 recita:

L’intero show verrà immediatamente cancellato e la band riceverà il pieno compenso se nell’area di backstage saranno presenti M&M’s marroni.

Spesso si racconta questa storia per confermare il fatto che le rockstar siano capricciose, eccessive, ridicole. Gawande spiega invece che la clausola delle caramelline marroni era una sorta di trucco per vedere se la checklist delle cose da fare – molte delle quali potevano salvare delle vite – era stata letta davvero e completata tutta.

La fallibilità umana

Negli anni Settanta i filosofi Gorovitz e MacIntyre pubblicarono un breve saggio sulla natura della fallibilità umana. La domanda a cui cercavano di rispondere era semplice: perché sbagliamo quel che ci proponiamo di fare nel mondo? Non siamo onniscienti né onnipotenti: per quanto potenziate dalla tecnologia, le nostre facoltà fisiche e mentali sono limitate. Gran parte del mondo dell’universo è, e resterà, al di fuori della nostra comprensione e del nostro controllo.
Esistono però ambiti fondamentali in cui il controllo degli eventi è alla nostra portata. In questi ambiti possiamo fallire solo per due motivi: ignoranza e, peggio ancora, inettitudine. Occorre una strategia che si basi sull’esperienza, sfrutti il sapere acquisito e ponga rimedio alle nostre inadeguatezze umane. Questa strategia esiste, sostiene Gawande, ed è molto semplice: è una lista, una lista di controllo, una checklist.

Perché fare le checklist?

Una parte sostanziale del lavoro richiesto ai progettisti di software, ai manager finanziari, ai vigili del fuoco, agli agenti di polizia, agli avvocati e alla maggioranza dei medici (come Gawande) è troppo complessa per essere seguita semplicemente a memoria. Una lista di cose da fare o di controlli, quindi un elenco di voci da spuntare, può risolvere il problema. E salvare delle vite, come nel caso delle procedure che impongono la rilevazione dei parametri vitali (temperatura, pulsazioni, pressione e respirazione) per un paziente ospedalizzato.
Chiaramente non tutti i problemi sono uguali. Anzi, sono di tre tipi: semplici, complicati e complessi. I problemi semplici sono quelli del tipo: “preparare un dolce a partire dagli ingredienti” e possono essere risolti semplicemente con una ricetta (che, a pensarci bene, è una checklist!). I problemi complicati sono quelli del tipo: “mandare un razzo sulla luna”; in qualche caso i problemi complicati possono essere scomposti in problemi semplici, ma soprattutto vanno affidati a specialisti (nel libro si spiega perché nei cantieri non esiste più un solo capocantiere). I problemi complessi, invece, sono per esempio quelli tipo “crescere un figlio”, dagli esiti sempre imprevedibili; una volta imparato come si fa a lanciare un razzo sulla luna è possibile ripetere la procedura con altri razzi, ma questo non vale per i figli.

Checklist: prima o dopo?

Occorre sempre stabilire se la checklist serve per una verifica di un processo, quindi è un mero elenco da verificare dopo aver svolto i compiti, oppure se deve guidare a compiere delle attività, e quindi è un elenco di operazioni da fare (per esempio una “linea guida”). Nel secondo caso le operazioni vanno spiegate con semplicità ma nel dettaglio.
In entrambi i casi l’obiettivo è quello del miglioramento continuo, per questo possiamo richiamare il cosiddetto modello del ciclo di Deming (ciclo di PDCA) con le quattro fasi (plan – do – check – act: pianificare – fare – verificare – agire) che devono ruotare costantemente.

5 strumenti per creare le checklist

Arriviamo all’aspetto pratico: quali strumenti possono risultarti utili per creare delle checklist? Gawande ovviamente non ne fa cenno. Ci penso io!
Il primo tool, che uso assiduamente da anni, è Evernote. Mi permette di prendere appunti da ogni device e, tra le modalità di organizzazione di una nota, presenta anche quella con caselle di controllo. Tra l’altro Evernote fornisce anche dei template gratuiti, come per esempio quello utilissimo delle checklist per i viaggi d’affari (qui).
Posto che le checklist possono essere creare anche con programmi di videoscrittura come Microsoft Word (vedi la guida qui), preferisco segnalarti qualcosa di più appetitoso. Il secondo strumento, gratuito, è WorkFlowy: permette di creare delle check list in cloud che possono essere condivise con i colleghi. Altri strumenti molto utili per creare checklist sono Trello (task manager che sta spopolando nelle aziende e che uso anche io con grande soddisfazione!) e il superprofessionale Process Street (ottimo l’elenco delle checklist già pronte: qui). Un tempo andava parecchio Wunderlist, ma ora non è più disponibile (qui diverse alternative di software per il project management).

A me capita di usare le checklist in mille occasioni. Per esempio al termine del mio corso sull’uso strategico di LinkedIn regalo una checklist con 15 cose da fare per ottimizzare il tuo profilo. Tu usi le checklist? Vuoi suggerirmi altri strumenti o trucchi? Scrivimi:

Job War: l’intervista per Letture.org

Lo scorso 5 febbraio sono stato contattato dalla redazione di Letture.org che mi ha chiesto un’intervista sul libro Job War. Quelle che seguono sono le domande e risposte dell’intervist pubblicata qui.

Dottor Bonanomi, Lei è autore del libro Job War. Strategie e tattiche di ricerca del lavoro nella sfida tra Millennial e Over 40 edito da Ledizioni: la ricerca del lavoro è una guerra?
Job War. Strategie e tattiche di ricerca del lavoro nella sfida tra Millennial e Over 40, Gianluigi BonanomiC’è chi dice che la ricerca del lavoro sia un lavoro. Io e David Buonaventura (il coautore di Job War, nonché ideatore del metodo Colloquio Diretto) l’abbiamo immaginata come una guerra. Da pacifisti, è chiaramente una metafora, anzi una serie di metafore: nel libro parliamo di strategie, tattiche, posizionamento, attacco, rifornimenti e così via.

Come è possibile trovare lavoro ai tempi della crisi e del Web?
In due modi: con il posizionamento – è il lavoro a cercare te – e con la candidatura diretta; meglio se si saltano a piè pari le società di selezione. Nel libro io e David ci siamo divisi i terreni di… scontro. La mia parte è quella che parla della preparazione per la candidatura, con una strategia di posizionamento che dimostri autorevolezza. Quella di David, tramite il suo metodo, riguarda la proposizione diretta al responsabile della selezione.
In gergo guerresco si parla di manovra a tenaglia, ma possiamo immaginare il sistema Job War come un prima e un dopo, una preparazione e una finalizzazione. Servono entrambe le fasi, non puoi persuadere se non hai fatto opera di pre-suasione. Questa espressione l’ho presa a prestito da Robert Cialdini, il guru della persuasione, il cui testo degli anni Ottanta è presente sui comodini di tutti quelli che si occupano di comunicazione e di vendita; prima Cialdini parlava solo delle tecniche di persuasione (ne trattiamo, nel libro), nel 2017 invece è uscito con un testo sulla pre-suasione (sta per “precedente persuasione”): tutta la parte che viene prima, di preparazione o condizionamento.

In che modo è possibile costruire la propria credibilità?
Vi siete cercati con Google? Che cosa salta fuori? Dopo aver guardato il vostro CV per nove secondi – questo dicono le statistiche – i recruiter vogliono sapere chi siete davvero: professionalmente, e allora vanno su LinkedIn; e personalmente, quindi vanno su Facebook o su altri social generalisti. Meglio farsi trovare al meglio, anche con contenuti che dimostrino le vostre competenze e autorevolezza. Il modo migliore per dimostrare la propria credibilità è investire sui contenuti: da ex giornalista che punta forte sul personal branding ne sono profondamente convinto.

Quanto è importante il proprio posizionamento online?
Attualmente mi occupo di formazione, anche sui temi del lavoro, e di marketing, in particolare di content marketing, detto anche inbound marketing. Quel è la differenza tra inbound e outbound?

Faccio un esempio. State cenando in famiglia, squilla il telefono, numero sconosciuto: “Pronto, sono Mario di ChiamateMoleste Srl, la disturbo per chiederle quale operatore telefonico usa attualmente…”. La solita chiamata di uno sconosciuto per vendere qualcosa. Questo, in gergo marketing, si chiama “outbound marketing”, dove “outbound” sta per “in uscita”. In particolare queste chiamate sono definite “a freddo” perché il cliente non ha la più pallida idea di chi lo stia contattando, né perché. Questo tipo di marketing, ancora in uso, non funziona praticamente più.

Immaginate, invece, quest’altro scenario. State cenando in famiglia, mentre discutete con coniuge e figli in merito alle prossime vacanze, nasce la discussione su dove andare in vacanza con il cane. Non ne avete la più pallida idea, allora lo cercate con Google: “campeggi animali ammessi”. Spulciate tra i risultati, trovate l’articolo di un blog che elenca e commenta le migliori soluzioni per famiglie con “amici a quattro zampe”. Il blog è di una catena di camping, trovate un modulo dove lasciare il contatto per essere contattati e ricevere un’offerta. Il giorno dopo vi chiama un addetto e vi dà tutte le informazioni che cercavate. Questo, in gergo marketing, è chiamato “inbound marketing” o “content marketing”. “Inbound” perché, al contrario di outbound, il contatto del cliente è “in entrata”, non più a freddo ma stavolta a caldo. “Content marketing” perché si sfruttano i contenuti per attirare i clienti.
Che cosa c’entrano inbound e outbound quando si parla di ricerca di lavoro? Una tecnica outbound è l’invio del curriculum a un responsabile del personale, una inbound è pubblicare un articolo su LinkedIn in modo da attirare l’attenzione del potenziale datore di lavoro…

In che modo è possibile individuare l’azienda e le persone a cui rivolgersi?
Esistono diversi modi per trovare un’azienda papabile. Posto che due lavori su tre, in Italia, si trovano per conoscenze (e quindi il primo suggerimento è quello di lavorare sul networking, e qui torno ancora a suggerire un investimento su LinkedIn), esiste sempre la possibilità di sfruttare la Rete per trovare delle opportunità di lavoro. Consiglio sempre di attivare delle “job alert”, avvisi di nuove posizioni lavorative aperte, su siti con candidature, come Monster, o motori di ricerca, come Infojobs. Ma prima ancora occorre lavorare direttamente alla fonte, tenendo d’occhio le pagina “Lavora con noi” o, meglio, inviando candidature spontanee. Perché inviare una candidatura se l’azienda non cerca? Perché quando cercherà partirà dal database interno: perché dovrebbe pagare terzi per una offerta pubblica, che gli costa centinaia di euro se non di più, se può risparmiare?

In generale, una volta individuata l’azienda, occorre fare due cose. Verificare che l’azienda sia sana, e per questo non serve una visura camerale: spesso basta una ricerca con Google affiancando il nome della ditta alle parole “crisi”, “sindacati”, “solidarietà” e così via. Seconda cosa: trovare il referente giusto a cui scrivere usando, ancora una volta, LinkedIn: perché scrivere alle risorse umane se possiamo dialogare direttamente con il responsabile di reparto che ha bisogno di voi?

Quali sono i consigli migliori per imporsi nella competizione per il posto di lavoro?
Studiate. Studiare per rafforzare le soft skill visto che, come dimostro nel libro, anche le competenze trasversali si possono allenare. Le soft skill, nell’attuale mercato del lavoro, contano più delle hard skill: una competenza tecnica si può sempre recuperare con un corso, un’attitudine meno.
Ma anche studiate il vostro settore, ambiente, le aziende dove volete andare a lavorare; non avete idea di quante persone si presentino ai colloqui (se si presentano…) senza nemmeno sapere che cosa fa l’azienda.

Altra dritta fondamentale. Un sacco di persone mi domandano come mai mandano centinaia di CV e non trovano mai risposta. Ovvio, rispondo loro: mi stupirei se rispondesse qualcuno. Mandate lo stesso identico CV al pizzicagnolo sotto casa e alla Apple. Non può funzionare. CV e lettera di accompagnamento, ormai una mail, sono strumenti di comunicazione. Ma non serve per parlare di sé: occorre comunicare al datore di lavoro potenziale che voi siete la riposta ai loro problemi. In questo caso sono come lettere di vendita.

Potete acquistare Job War direttamente da Amazon:

Internet delle Cose: 10 esempi incredibili (ma veri)

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Grazie all’“Internet delle cose”, forno e frigo potranno comunicare tra loro. Per sparlare della lavatrice.

Chiamata IoT, Internet of Things, Internet delle Cose o come ti pare, la notizia è che tu, essere umano connesso alla Rete, sarai in minoranza. La gran parte degli oggetti che ci circonda, o che ci stanno addosso, saranno collegati a Internet e tra loro. D’accordo, un vecchio white paper di Cisco aveva toppato: diceva che 50 miliardi di oggetti più o meno intelligenti sarebbero stati connessi già dal 2015. Eppure il trend è chiaro, e lo racconta benissimo un bel libro che ho letto di recente: “Come usare al meglio l’Internet della Cose” (Tecniche Nuove), scritto da Martina Casani – esperta di marketing B2B, cloud, sharing economy e ovviamente IoT – e Marcello Majonchi – esperto IoT di Microsoft.
Il libro è ben scritto, approfondito ma soprattutto riporta un sacco di esempi interessanti. Ne ho scelti 10, per dimostrare che, numeri a parte, l’IoT è già una realtà consolidata.

1. La coda delle mucche è IoT

Moocall è un gadget irlandese che avvisa gli allevatori quando le mucche iniziano il travaglio. Si aggancia alla coda della mucca.

2. La macchina del caffè connessa

Grazie alla piattaforma Plat.One di Abo.Data e alla Cloud Azure di Microsoft si è sviluppata una soluzione che permette di monitorare le macchine del caffè a uso professionale con una serie di vantaggi sotto il profilo della qualità, della manutenzione predittiva e dell’accesso a nuove informazioni di marketing. A questo proposito, è possibile monitorare, a livello mondiale e in tempo reale, il consumo di determinati prodotti in determinate aree geografiche o in determinati orari.

3. Il copri-materasso intelligente

Prodotto di una start-up italiana, Eight è il coprimaterasso “intelligente” che analizza i dati del nostro sonno (temperatura, frequenza respiratoria, battito cardiaco…) e ci rimanda via app i consigli su come dormire meglio.

4. La valigia connessa

Bluesmart è la prima valigia intelligente del mondo: si pesa da sola, conosce la propria posizione, ricarica smartphone e tablet e si sblocca con un’app.

5. Il caschetto che previene gli incidenti sul lavoro

Nel settore ingegneristico, l’azienda O’Rourke ha adottato caschetti intelligenti che controllano la temperatora e la frequenza cardiaca dei portatori così come la temperatura e esterna e l’umidità.

6. Il sofà intelligente

Lift-Bit è un sistema di arredo modulare e riconfigurabile con il movimento delle mani e via app. Sfrutta Internet delle cose per consentire agli sgabelli esagonali imbottiti, che si alzano e si abbassano a comando digitale, di assumere varie forme. Lift-Bit può avere la funzione di poltrona, sedia, divano, chaise longue o letto.

7. Il lampione smart

La startup rumena Flashnet ha sviluppato un sistema che permette di gestire in modo più efficiente l’illuminazione pubblica. Attraverso un modulo connesso a una rete wireless e montato su un lampione, per esempio, il sistema permette di accendere e spegnere la luce o regolarne l’intensità da remoto. Il dispositivo può anche memorizzare una pianificazione automatizzata per l’illuminazione, in modo che non ci siano malfunzionamenti se si interrompe il collegamento wireless.

8. Giacche da sci interattive

Sui capi DKB vi è un sensore che garantisce l’autenticità e dà ai consumatori, tramite app, anche le istruzioni per l’uso e la manutenzione. Tutto questo consente anche di aprire un canale di comunicazione e marketing diretto.

9. Smart wine

Wenda è un dispositivo elettronico che può essere inserito sia sul collo della bottiglia di vino per un monitoraggio uno-a-uno, che posizionato all’interno del pallet, così da controllare una spedizione intera. Ma soprattutto il dispositivo comunica le caratteristiche del vino.

10. Maiali col tag

L’Azienda Agricola Ca’ Lumaco è specializzata nell’allevamento dei suini che vivono allo stato brado, nel bosco, in uno spazio di circa 18 ettari, cibandosi di ghiande e castagne e altri prodotti provenienti da agricolture biologiche. La soluzione tecnologica adottata consente di tracciare i suini all’interno dell’azienda grazie a un tag RFID auricolare, dove è memorizzato un codice che identifica univocamente l’animale. Dall’altro, grazie a un sistema di videocamere installate in sala parto, il sistema si integra a un sistema di videosorveglianza che consente un controllo da remoto dei capi nei vari box. Su un display sinottico l’operatore può verificare in tempo reale la situazione dei capi nel macello, le presenze in sala parto e le altre immagini provenienti dalle videocamere, con un notevole risparmio di tempo e un significativo aumento dell’efficienza generale.

Nel libro di Casani e Majonchi, M&Ms, trovi moltissimi altri esempi, insieme ad analisi, studi, scenario attuale e future o ogni altra implicazione dell’IoT. Puoi acquistare il libro su Amazon: