I giustizieri della Rete
Qualche anno fa rimasi impressionato dalla vicenda di Oscar Giannino. Alle elezioni politiche del 2013 il giornalista dandy (lo incontrai a un evento giornalistico e mi colpirono, per fortuna solo metaforicamente, delle scarpe con borchie) si presentò alla guida del movimento “Fare per fermare il declino”. A pochi giorni dal voto, però, il suo compagno di partito, l’economista Luigi Zingales, denunciò dei falsi nel suo curriculum. Tra gli studi di Giannino spiccava un master alla Booth University di Chicago, quella dove insegna Zingales. Ma il professore scoprì che alla Booth University Giannino non ha mai messo piede. Anzi, Oscar non era nemmeno laureato.
La carriera politica di Giannino finì lì. Iniziò, in compenso, una sorta di processo pubblico, i mass media si avventarono sul suo cadavere politico; ma è in Rete, sui social, che iniziò il massacro popolare. Riporto, per decenza, uno dei commenti simpatici:
Mi manchi come una #laurea a Oscar #Giannino.
— Flavia. (@flalalay) December 4, 2014
Una vera gogna, come sempre più spesso accade online. Sono tantissimi i casi di persone messe in croce sul Web, senza alcun processo ma con conseguenze ben peggiori.
Recentemente mi sono imbattuto in un libro proprio su questo tema. Si tratta de “I giustizieri della Rete” di Jon Ronson. L’autore britannico, in un testo scritto molto bene e che consiglio, parla del lato oscuro di Twitter e Facebook; dalla quarta di copertina:
“Spesso [i social] alimentano i peggiori istinti moralizzatori delle persone, dando vita a una versione moderna e violentissima della gogna pubblica. Il bersaglio può essere chiunque, il perfetto sconosciuto come il personaggio famoso”.
Tra i casi citati c’è quello, notissimo, di Justine Sacco.
Per questo tweet di cattivo gusto (tradotto: “Sto andando in Africa, spero di non prendermi l’AIDS. Scherzavo: sono bianca!”) ha perso il lavoro. E la faccia.
La vicenda: nel dicembre 2013 Justine aveva preso un aereo per raggiungere Città del Capo, in Sudafrica, per visitare la sua famiglia. Prima di imbarcarsi aveva creato quel tweet. Nonostante i suoi pochi follower, il messaggio fu ritwittato (condiviso) da un giornalista e divenne virale, al suo arrivo in Sudafrica le crollò il mondo addosso. Come si legge su IlPost.it:
“Sacco fu presa in giro e insultata per giorni. A causa di quel tweet perse il suo lavoro da capo delle pubbliche relazioni della IAC, una grande società con sede a New York che possiede più di una trentina di società web molto conosciute tra cui Vimeo, Match.com, Daily Beast e Ask.com”.
La beffa: anche un professionista della comunicazione online è rimasta schiacciata dalla comunicazione online.
Il libro parla di tante storie del genere, tutte centrate su vergogna, reputazione e facile giustizialismo. Per esempio si racconta la storia di Jonah Lehrer, star della divulgazione scientifica che si è inventato, in un libro, una citazione di Bob Dylan; scherzetto che gli ha fatto saltare la carriera.
Tra gli altri c’è anche un predicatore finito in una lista di frequentatori di prostitute, ma anche il caso clamoroso di Max Mosley. Nel 2008 l’ex capo della Formula 1 venne coinvolto in un clamoroso scandalo sessuale scatenato dal quotidiano inglese News of the World. Il giornale pubblicò alcuni fotogrammi tratti da un video nel quale Mosley prendeva parte ad un’orgia di tipo sadomasochistico con alcune prostitute in uniformi naziste ed in divise che ricalcano quelle che indossavano gli internati nei lager. La notizia è che Mosley pare essere l’unico, tra i protagonisti del libro, ad aver superato la gogna mediatica online in modo (quasi) indolore.
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