Il software libero nella PA è legge

L’open source entro “di diritto”, è proprio il caso di dirlo, nei pubblici uffici.

Ci voleva una legge delle Stato per imporre quello che, a logica, sarebbe dovuto succedere naturalmente: sostituire i costosi programmi a pagamento con il software open source, libero ma soprattutto gratuito.

Il “Decreto Sviluppo 2012 – Misure urgenti per l’Agenda digitale e la trasparenza nella pubblica amministrazione” dell’agosto scorso, recita così:

“Le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:

    a) software sviluppato per conto della pubblica amministrazione;

    b) riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione;

    c) software libero o a codice sorgente aperto;

    d) software combinazione delle precedenti soluzioni.

Solo quando la valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico dimostri l’impossibilità di accedere a soluzioni open source o già sviluppate all’interno della pubblica amministrazione a un prezzo inferiore, è consentita l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso.”

Quindi, in parole povere: precedenza al software libero nei pubblici uffici.

Da sempre Telecom Italia crede nell’open source. Basti pensare, per esempio, alla partnership con Red Hat (leader mondiale nella fornitura di soluzioni open source) e, tra gli altri progetti, alla piattaforma MailWare di Babel, basata su tecnologia Red Hat appunto, che permette di offrire servizi avanzati di messaging & collaboration (groupware, mobile push, fax server, VoIP, videoconferenza e instant messaging), abbattendo sensibilmente i costi operativi.

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