Articoli

“Genitori tech”: al debutto il mio videoblog per Mumadvisor

Dal mese di luglio 2018 è iniziata la mia collaborazione giornalistica con il noto sito per genitori Mumadvisor. Invece dei “soliti” articoli, ho proposto di lanciare un videoblog: “Genitori tech“. Mi sono messo davanti alla telecamera e, grazie alle riprese e al montaggio dell’amico Renzo Zonin, ho realizzato la prima puntata del videoblog, dedicata a tutto quello che i genitori si sono sempre chiesti su questi benedetti nativi digitali.

Puoi guardare il filmato, caricato da Mumadvisor su Youtube e sulla pagina Facebook, direttamente qui. Buona visione!

Se vuoi farmi delle domande o proporre dei temi per il videoblog, scrivimi:

Bambini e schermi (smartphone, tv): quante ore al giorno? Fa male? Che dice la scienza

N0ta: questo articolo è stato pubblicato su Agendadigitale.eu il 12 giugno 2018

Mai prima dei 18 mesi. Con un “piano di famiglia” oltre i sei anni. E poi buon senso e, soprattutto buon esempio. Ecco gli effetti degli schermi su salute e rendimento scolastico dei bambini. E le “regole” per un uso corretto dei dispositivi digitali, da parte dei bambini, ma anche degli adulti

l tempo dei bambini davanti agli schermi (“screen time”) cresce sempre più, fenomeno che si acuisce in estate (le scuole sono chiuse); ma è ormai un tendenza costante. E globale. E’ utile quindi vedere che dice la “letteratura scientifica”, a riguardo. Ossia le regole e le linee guida su cui i pediatri si stanno orientando al momento, a livello internazionale.

Del resto anche Apple di recente ha presentato uno strumento per controllare meglio lo screen time; così come Google. La premessa è che il ruolo dei genitori dei nativi digitali è quello di accompagnare i ragazzi, ma soprattutto di mettere dei paletti all’uso dei dispositivi elettronici, che non deve mai essere eccessivo.

Bambini e device, le regole dell’Accademia americana di pediatria

Prima regola: i device dovrebbero essere tenuti lontani dalla portata dei bambini più piccoli, almeno fino ai 18 mesiDai 18 ai 24 mesi va fatto un uso limitatissimo e sempre supervisionato dai genitori. Queste sono alcune raccomandazioni dell’Accademia Americana di Pediatria sull’uso di TV, PC, tablet e altre tecnologie da parte di bambini e ragazzi. Tra queste semplici regole, stilate da Jenny Radesky (pediatra presso la University of Michigan), ci sono anche quelle per i bambini dai due a cinque anni: tassativo non andare oltre un’ora al giorno di uso dei media e, anche in questo caso, sempre sotto la supervisione di un adulto. Oltretutto bisognerebbe sempre puntare su programmi e contenuti di alta qualità.
Oltre i sei anni ci vuole sempre un “piano di famiglia”: servono regole, sia per il tempo che per i contenuti. Il rischio, altrimenti, è quello di compromettere il sonno, rubare tempo all’attività fisica all’aperto e ai contatti interpersonali, faccia a faccia, e di compromettere il rendimento scolastico.

Tecnologia e rendimento scolastico

Prima di parlare delle regole, mettiamoci d’accordo: la tecnologia fa male oppure no? Ha delle conseguenze, per esempio, sul rendimento scolastico?

Partiamo dai fatti. L’uso della tecnologia, anche per studiare, è in netto aumento: sono sempre più le scuole che utilizzano Internet, LIM, tablet e notebook anche per le attività scolastiche. E sono sempre più i ragazzi che “sguazzano” nella tecnologia.

Il fenomeno è talmente rilevante che è stato protagonista di diversi studi scientifici. Come sottolinea Marco Gui (Sociologia della cultura dei media all’Università di Milano-Bicocca), i primi studi che mettevano in relazione il possesso di computer o la possibilità di usarlo a casa con i punteggi di apprendimento hanno trovato quasi sempre una relazione positiva, anche al netto delle variabili socio-demografiche delle famiglie. Il semplice possesso però vuole dire poco: praticamente tutti gli studenti hanno almeno un computer a casa.

Occorreva spostare il focus su frequenza e scopo d’uso di questi strumenti.

I risultati hanno evidenziato una relazione tra l’intensità d’uso del computer e di Internet e le performance scolastiche: nella maggior parte dei casi negativa. Si veda per esempio questo studio (Michigan State University-Harvard University), che collega il calo del rendimento scolastico soprattutto con la pratica (diffusa) di studiare in multitasking con chat e social network.

Detto in parole semplici: oltre un certo livello, quanto più i ragazzi utilizzano questi strumenti tanto peggiori sono i risultati ottenuti, nello specifico, nei test di lettura e di matematica. Tutto questo vale, chiaramente, se questi strumenti sono usati per svago.

A questo si aggiunge un recente studio dell’Associated Professional Sleep Societies sulle conseguenze negative dello screen time sul sonno dei bambini.

E se, invece, PC e Internet vengono utilizzati solo per studiare? Sempre secondo Gui, è lampante la relazione positiva tra la frequenza d’uso di Internet a casa per la scuola e i punteggi dei test Invalsi in italiano. Ciononostante, e anche in questo caso l’uso deve essere comunque moderato. Servono delle regole, come dicevamo.

Le regole per l’uso della tecnologia

Qualche anno fa Janell Burley Hofmann, mamma e blogger americana, decise di regalare al figlio Gregory un iPhone per Natale. Il regalo fu accompagnato da una lista di regole, redatte dalla stessa Burley, per l’uso dello smartphone e della Rete, che lei definì “iRules”. Dalle regole è nato un articolo per l’Huffington Post e un successivo libro che hanno riscosso successo clamoroso.
Che cosa c’era in quelle regole? Fondamentalmente molto buon senso.

  • Si parte dal presupposto che le regole debbano essere discusse e condivise. La Hofmann ipotizza anche l’istituzionalizzazione di momenti di confronto sulla tecnologia, che chiama “Tech talk”.
  • Dal punto di vista pratico una delle proposte è quella di realizzare un registro di casa che contenga gli account con relative password: se le parole chiave non devono mai essere condivise con gli amici, è fondamentale che i genitori abbiano sempre accesso agli account, soprattutto in caso di problemi; il tutto chiaramente senza violare la fiducia del ragazzo.
  • Altra regola fondamentale: il sonno prima di tutto. I pediatri sono concordi: il sonno discontinuo e interrotto causa disturbi di concentrazione e di salute nei ragazzi. Le regole di Janell prevedono che lo smartphone vada consegnato ai genitori alle 19.30 di ogni sera infrasettimanale e alle 21 nei weekend, con qualche eccezione in estate.
  • Ma la parte più interessante riguarda i contenuti. Dal punto di vista delle conversazioni, una delle regole prevede il non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.
  • Per ciò che attiene foto e video, il buon suggerimento è quello di vivere le esperienze, non limitarsi a riprenderle ponendo lo schermo a ostacolo tra sé e il mondo.

Nelle altre regole sono incluse le buone maniere, netiquette (le regole della Rete, dette anche “galaReteo” e “retiquetta”) e che cosa fare in caso di emergenza (cyberbullismo, pornografia online e maleducazione).

Le regole per i genitori

E regole per i genitori? La prima considerazione è che non possiamo esimerci dal dare il buon esempio, soprattutto perché i ragazzi chiedono coerenza.

Giustificare la violazione sistematica di regole imposte ai ragazzi con l’essere adulti, come per esempio il non utilizzo degli smartphone durante i pasti, non solo ci renderà meno credibili nella circostanza contestuale, ma lascerà credere ai ragazzi che alcuni comportamenti siano sconvenienti solo per determinate fasce d’età mentre appare chiaro che molti rischi o problemi hanno carattere transgenerazionale.

Il primo smartphone: a che età?

[Articolo pubblicato sulla rivista e sul sito di Giovani Genitori]

L’Italia è al primo posto in Europa per diffusione di telefoni cellulari e i bambini lo usano in età precocissima. I pediatri dicono che bisogna limitarne l’uso e non regalarlo prima dei 10 anni di età, ma da quel momento tutto pare permesso, al punto che è raro trovare undicenni o dodicenni senza smartphone. Sul cellulare la prima app che scaricano è Instagram (snobbano Facebook per non incrociare noi genitori e i nonni o gli insegnanti),anche se l’età minima d’uso sarebbe di 13 anni. E immediatamente dopo arriva WhatsApp, dove l’età minima sarebbe di 16 anni (lo sapevate?). Nelle scuole elementari molti bambini di 9, 10 anni hanno già in tasca questi strumenti potentissimi. È un bene o un male? Esiste una età minima per dotare i ragazzi di un telefonino?

Belle domande

Il fatto che i bambini siano online in età sempre più precoce è un dato di fatto. Lo dicono i dati: la più autorevole fonte europea sul tema, la ricerca EU Kids Online (www.lse.ac.uk/media@lse/research/EUKidsOnline), dimostra che negli ultimi anni ci sia stato un boom delle connessioni a Internet anche per i bambini sotto gli 8 anni. La maggioranza dei piccoli tra i 6 e gli 8 anni ha accesso alla rete. E questo ormai dal “lontano” 2007. Chiunque tra noi adulti ha sperimentato la miglior confidenza che i “nativi digitali” hanno nell’uso delle interfacce touch di smartphone e tablet. Il problema è che spesso mancano di competenze. Per esempio, non sanno cosa sia la netiquette, vale a dire non conoscono le regole minime di buon comportamento nelle interazioni in rete.

Come si connettono?

A detta di uno dei maggiori esperti italiani del tema, Paolo Ferri: “I nativi considerano le tecnologie digitali come elemento naturale del loro ambiente di vita. Fin da piccoli si relazionano con la tecnologia attraverso il gioco e, a volte, per prove ed errori costruiscono da soli i propri giochi senza consultare nessun manuale e senza nemmeno saper leggere, personalizzando la tecnologia secondo le proprie esigenze, come fanno con i Lego”. I nativi usano per lo più dispositivi touch e considerano i notebook scomodi e ingombranti. Del resto anche in alcune scuole si usano già i tablet ed esistono decine di migliaia di app rivolte direttamente alla prima infanzia. Non siamo ai livelli della Norvegia, dove la metà dei bambini tra i 3 e i 4 anni usa un tablet e il 25% uno smartphone, ma la percentuale di nativi schermodotati sta aumentando notevolmente anche da noi.

Valutiamo la maturità

Non abbiamo ancora risposto alla domanda se esista o meno un momento giusto per dotare i bambini di uno smartphone. Perché una risposta non c’è. Un altro grande esperto del tema bambini e tecnologia, Alberto Pellai (nella foto), sottolinea che “non esistono linee guida di pediatri o psicologi in questo senso; il momento più indicato è quello dell’inizio della scuola superiore: da quell’età i ragazzi e le ragazze sono capaci di essere autonomi nell’utilizzo e hanno anche sviluppato la capacità di proteggersi da una certa impulsività che potrebbe danneggiarli”.

Che “digital parent” sei?

L’età giusta, possiamo ragionevolmente dire, dipende dalla sensibilità dei genitori e dalla maturità dei figli. La ricercatrice Alexandra Samuel ha individuato tre categorie di approccio al digital parenting: ci sono i “digital enablers”, che pongono pochissime restrizioni su come i bambini usano i dispositivi; ci sono i “digital limiters” che cercano in modo attivo di limitare l’uso dei dispositivi da parte dei bambini; ci sono i “digital mentors”, che tentano attivamente di partecipare all’utilizzo dei dispositivi assieme ai figli.

Proibire a prescindere non è mai stata una strategia vincente, quindi il trucco sta nell’uso condiviso dello strumento. Alberto Pellai mette in guardia dai pericoli dell’uso di queste tecnologie (li conosciamo: contenuti inappropriati, bullismo, sexting e via dicendo) sottolineando l’importanza del ruolo del genitore come educatore, anche se papà e mamma non sono particolarmente ferrati in tema tecnologico.

Supervisione e buon esempio

Anche se non siamo dei maghi del computer, possiamo essere ottimi “digital mentors”. Il nostro compito sarà supervisionare, dare il buon esempio e soprattutto condividere l’uso degli strumenti. Possiamo chiedere come si usano le chat di WhatsApp e magari imparare alcune regole di base che i ragazzi conoscono benissimo e tanti genitori no (vietato l’off-topic, niente catene di sant’Antonio, distinguere sempre tra quel che è pubblico e quel che è privato).

Rispettiamo i loro confini: possiamo chiedere di avere accesso al loro cellulare, ma dobbiamo anche dare fiducia e non abusare dello strumento per soddisfare le nostre curiosità, mettendoli in difficoltà o in imbarazzo (avrà o no la fidanzata? Avrà dato il primo bacio?). Incoraggiamoli a diventare adulti che sanno come comportarsi online, in modo sano e responsabile. In ogni caso, sottolinea Pellai, la strategia migliore è sempre la stessa: parlare, parlare, parlare.

I servizi di protezione

Fiducia, quindi. Ma i rischi ci sono, e sono concreti: quindi è bene lasciare libertà ai propri figli ma in un ambiente protetto. Si possono usare, anche sui telefonini come sui pc, delle funzioni di parental control, per consentire l’accesso a contenuti e modi di utilizzo appropriati. Le funzioni di parental control consentono di scegliere le impostazioni che sono appropriate sia per un adolescente che per un bambino più piccolo. È possibile agire su differenti categorie di contenuti. Per esempio, i contenuti relativi a siti di appuntamenti, giochi d’azzardo, droghe, violenza o pornografia sono bloccati di default per i minorenni di qualunque età. È possibile anche porre dei limiti temporali all’uso degli strumenti, e anche dei “limiti temporali selettivi”: per esempio si può scegliere di consentire l’accesso a Instagram solo per un’ora al giorno e non porre alcun limite a siti utili per lo studio, come Wikipedia.

Kit per stare al sicuro

Anche se il 99% del tempo i ragazzi usano il telefonino per Internet, non sottovalutiamo il problema delle telefonate in entrata. Le chiamate di determinati numeri possono essere inserite in una blacklist e quindi bloccate in automatico, senza possibilità di lasciare un messaggio in segreteria. I genitori possono inoltre ottenere l’accesso alla lista di chiamate bloccate che sono state ricevute. Esistono anche funzioni di antifurto, che permettono di localizzare un telefono smarrito o rubato, oppure quelle app enormemente diffuse negli Stati Uniti che permettono al genitore di localizzare la posizione del figlio.

Quali sono gli strumenti che fanno tutto questo? Il primo da citare è Spazio Bimbi di Kiddoware, disponibile solo per Android (gratis), perché permette di limitare facilmente l’accesso allo smartphone o alle app, tramite PIN, creando profili personalizzabili. Altra app gratuita consigliata è Net Nanny (per iOS e Android). Molti produttori di smartphone (vedi, tra gli altri, Samsung che fornisce funzionalità come il blocco dello spegnimento del dispositivo) e quasi tutti gli operatori di telefonia includono servizi di sicurezza, che spesso gli utenti non usano semplicemente perché non sanno di averli. In altri casi esistono soluzioni ad hoc degli operatori come nel caso, per esempio, di Tim Protect (protect.tim.it): soluzione di sicurezza a tutto tondo offerta da Tim e sviluppata da F-Secure, che include, tra gli altri, anche un servizio di parental control. Vodafone, a sua volta, propone Smart Tutor, app che consente ai genitori di scegliere i numeri di dati con cui possono entrare in contatto i propri figli, selezionare insieme a loro le app più adatte, evitare che la prole abbia distrazioni nei momenti in cui deve concentrarsi, grazie alla possibilità di limitare le funzioni a una determinata fascia oraria e bloccare i contatti indesiderati.

Due libri da leggere

Se siete nella fase in cui i ragazzi cominciano a usare lo smarphone, procuratevi questi due libri: Paolo Ferri, “I nuovi bambini” (BUR, 2014) e “Tutto troppo presto” di Alberto Pellai (De Agostini, 2015). Quest’ultimo affronta anche un tema scottante e specifico: l’educazione sessuale dei ragazzi nell’era di smartphone e tablet. Dell’autore potete anche consultare il blog www.tuttotroppopresto.it.

Bambini e tecnologia: non proibire, ma condividere

Grazie a ClasseWeb, la mia società di formazione che si occupa prevalentemente dei temi della genitorialità in relazione alla tecnologia, mi capita spesso di andare a parlare nelle scuole, di tenere workshop per genitori e figli. E spesso i papà e le mamme mi chiedono se esiste un buon libro che parli di bambini e tecnologia. Eccolo: si chiama “I nuovi bambini” (è del 2014), l’autore è Paolo Ferri (autore della prefazione del nostro “Navigazione familiare”).

3072024-9788817076173

Paolo Ferri, docente di tecnologie didattiche e teoria e tecnica dei nuovi media presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Milano Bicocca, ha scritto un testo su “come educare i figli all’uso della tecnologia, senza diffidenze e paure”, come recita il sottotitolo del testo edito da Bur. Proprio perché è un docente e tratta questi temi per lavoro, Ferri ha un approccio scientifico, né da apocalittico (come diversi genitori che incontro) né da integrato, o meglio tecno-entusiasta (come spesso sono io). Però è anche un papà, e racconta la sua esperienza diretta di padre di un nativo digitale, di un membro della cosiddetta “generazione app”.

Il libro, di circa 200 pagine, spiega innanzitutto come bambini e ragazzi usino un approccio alla tecnologia completamente diverso da quello di noi “immigranti digitali”, “esseri gutemberghiani”: quello per “prove ed errori” (learning by doing, si dice); non usano manuali, usano la tecnologia e basta. Anche da molto piccoli: sempre più spesso hanno in mano gli smartphone a sette, otto anni. I genitori che sono spaventati dai nativi digitali hanno la tentazione di proibire la tecnologia: sarebbe un grave errore, sostiene Ferri. Occorre invece un approccio diverso: bisogna affiancare i ragazzi mentre usano smartphone e tablet, stabilire delle regole, creare un clima di fiducia. Certo, occorre proteggerli, anche grazie alla tecnologia: vedi i sistemi di parental control. Ma in ogni caso, come scrive l’autore in uno degli utili suggerimenti che si trovano alla fine dei capitoli, “Cercate di far diventare parte del lessico familiare anche la porzione online della vita dei vostri figli e valutare insieme a loro l’estetica, la giocabilità, il contenuto e le caratteristiche, per esempio, dei videogiochi”. Ma anche dei social network, sempre più diffusi anche prima del limite consentito di 13 anni.

 

Per acquistare il libro: