“C’era una volta una cattiva maestra”: la mia intervista per il blog di TedX Bergamo
Nel maggio del 2018 sono stato intervistato da Arianna Storoni per il blog del TedX Bergamo (qui il link). Questo è il frutto della nostra chiacchierata.
Chi non ricorda la famosa espressione coniata da K.Popper “cattiva maestra televisione”? Era molto amata dai detrattori dell’uso del mezzo televisivo quando l’informazione era ancora e soltanto analogica.
Oggi, con le nostre vite “always online”, questa espressione assume una ritrovata valenza se rapportata alle tecnologie digitali e ai social media. Abbiamo chiesto a Gianluigi Bonanomi, giornalista specializzato in high tech e formatore, di spiegarci come utilizzare in maniera più consapevole queste tecnologie anche nei confronti dei giovani e nel rapporto genitori e figli.
“Insegnare ad utilizzare gli strumenti digitali in maniera più consapevole è sicuramente la mia mission”
Gianluigi Bonanomi
Abbiamo ricordato la tesi di Karl Popper che ipotizzava addirittura una sorta di patente. Secondo lei, oggi dovremmo avere tutti una patente per utilizzare gli strumenti digitali?
Sono convinto del fatto che le tecnologie digitali, e quindi anche i social media, siano degli strumenti e tutto dipende dall’uso che ne facciamo. A differenza della Tv, che nasce come mezzo per una fruizione passiva, possono essere usati bene da tutti perché in grado di soddisfare dei bisogni comuni legati alla sfera della relazione e dell’autostima. La mia esperienza mi dice che nella maggioranza dei casi il problema non è legato alla tecnologia di per sé ma è legato all’uso disfunzionale che ne facciamo. I dati indicano che il 65% dei bambini di oggi farà lavori legati alla tecnologia. Non possiamo più escluderla, proibirla o ignorarla. La tecnologia ci porterà tanti benefici.
Penso che un percorso di formazione per giovani e adulti, magari partendo proprio dal mondo scolastico, potrebbe funzionare. Un po’ come per l’uso dell’auto. Smettiamola con la demonizzazione, il digitale è parte delle nostre vite e sono ormai tecnologie mainstream, non si può far finta di niente o peggio negare il problema.
Il tema di fondo quindi è genitorialità e tecnologie. Quale è il ruolo che genitori e adulti possono recuperare?
Sul tema genitorialità e tecnologia ne ho fatto un po’ la mia missione… Il vero problema è che la maggior parte dei genitori non conosce le regole di utilizzo, e per questo si sente in difetto verso i figli, assumendo un ruolo autoritario di negazione all’uso del mezzo. Questa mancanza di competenze crea una distanza che fa perdere di vista il ruolo di educatori dei genitori.
Ruolo che in realtà non cambia e dovrebbe essere riscoperto, come una guida morale per figli altamente digitali. Non possiamo chiudere i nostri figli dentro una bolla e far finta che certe tecnologie non esistano, sarebbe utopico. Occorre insegnare loro che la vita è fatta di pericoli, e che anche per le tecnologie digitali occorre maggiore coscienza e consapevolezza nell’uso che si fa.
I 18 enni di oggi sono nati con uno schermo in mano, e talvolta il gap generazionale con i loro genitori è evidente. C’è un modus operandi o una regola da adottare nel relazionarsi con questi nativi digitali?
L’espressione “nativi digitali” di Marc Prensky risale al 2001 per identificare coloro che fin dalla nascita vivono a contatto con i mezzi di comunicazione digitali. Giuseppe Riva (docente di psicologia e tecnologia delle comunicazioni all’Università Cattolica di Milano) spiega successivamente che nativo digitale è in realtà colui che utilizza intuitivamente i mezzi e le tecnologie, senza sforzo. Non è quindi un fattore generazionale, ma piuttosto di capacità. Il 39% dei bambini dai 2 ai 3 anni utilizza gli smartphone per giocare e guardare video. Se sei un genitore è molto difficile togliere lo strumento. Quindi è necessario fissare da subito delle regole per il suo utilizzo, basate soprattutto su orari e contenuti.
I ragazzi più grandi oggi scelgono Instagram perché per loro Facebook è vecchio, è scontato, e non vogliono apparire nello stesso canale dove sono gli adulti, i genitori, gli insegnanti. Inoltre, credono che comunicare con le parole sia uno stile vecchio, quindi preferiscono canali come Instagram per una comunicazione più fresca e visiva, e per un approccio più diretto ed emozionale.
Come influiscono sullo sviluppo dei più giovani? Si parla spesso di analfabetismo emotivo…
E’ oggettivo che molti ragazzi abbiano delle difficoltà a guardare in faccia un coetaneo o un adulto per esprimere se stessi. Lo schermo ti permette di mediare la relazione, di “addolcire” i modi. Questo succede anche in ambito lavorativo con i giovani collaboratori. Anche in questo caso, sono convinto che il grosso problema sia negli adulti. Basti pensare al triste fenomeno dell’hate speech.
Nelle comunicazioni online mancano gran parte degli elementi della comunicazione diretta uno ad uno, perché non c’è il paraverbale. I ragazzi non devono smettere di comunicare attraverso l’online perché è un’opportunità, ma devono anche tornare a guardarsi in faccia, e riscoprire il valore e l’autenticità delle relazioni interpersonali. Sempre di più online e offline sono (giustamente) mischiati.
Una parola e tanti significati: sharenting, quando è il genitore il primo a non utilizzare consapevolmente le tecnologie digitali.
Oggigiorno la maggior parte dei giovani usa i social network senza alcuna competenza tecnica, soprattutto in materia di privacy e sicurezza. Manca la così detta “digital literacy” e sta a noi insegnarla. Non avendo vissuto una realtà offline come abbiamo fatto noi, per loro è naturale condividere tutto e non si rendono conto che quelle informazioni poi non le recupereranno più ne potranno cancellarle. Paradossalmente però, sta emergendo anche il fenomeno opposto, quello di genitori che condividono in maniera eccessiva le immagini dei propri figli, fino a casi estremi e preoccupanti in cui figli ormai maggiorenni denunciano i genitori per aver violato la loro privacy pubblicando in maniera quasi ossessiva le loro foto fin da bambini. Una recente ricerca australiana ha dimostrato che la metà delle foto trovate nei database di pedofili arrivano dai genitori, ignari di dove le foto vanno a finire.
Per non arrivare a casi così estremi, occorre ricordare un principio fondamentale: i nostri figli ci chiedono coerenza. Non possiamo imporre delle regole o insegnargli come usare i vari dispositivi digitali se poi siamo noi i primi a commettere delle leggerezze e degli errori che, chissà, un giorno potrebbero costarci caro. Persino l’affetto dei nostri stessi figli. Non lasciamoci sconfortare dal fatto che non siamo preparati e non siamo nativi digitali, ma approcciamo il tutto in maniera più consapevole. Insegnare ad utilizzare gli strumenti digitali in maniera più consapevole è sicuramente la mia mission.
Ognuno di noi, nella propria vita personale e professionale, possiede un elemento che potremmo definire “magico” che spinge ad andare oltre, a costruire il proprio futuro. Quale è stato per lei questo elemento unico e magico?
Si chiama comunicazione. Intesa come la capacità di esprimere se stessi e di trasmettere e comunicare qualcosa. E quando ho visto che questo poteva avere un impatto sulle persone è stata una grande gioia. Quando riesci ad esprimere gli stessi concetti in modo più efficace e vedi che una platea ti segue in maniera ipnotica…la comunicazione, e l’uso che ne facciamo, può davvero cambiare la vita.
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