Come scrivere le referenze su LinkedIn [Articolo per Agenda Digitale]

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Questo articolo è stato pubblicato su Agenda Digitale il 18 marzo 2022

Referenze su LinkedIn: come scriverne una perfetta (e come ottenerne di più)

Scrivere una referenza su LinkedIn per clienti o colleghi è un modo per attirare la loro attenzione e stimolare, in maniera poco invasiva, una reazione uguale da parte di questi. Ecco tutto quello che c’è da sapere per farlo in modo efficace

Le referenze su LinkedIn sono uno degli aspetti più sottovalutati da molti utenti e allo stesso tempo uno degli elementi distintivi più importanti.

Nel mondo anglosassone la lettera di raccomandazione – non proprio l’equivalente di una referenza su LinkedIn ma il concetto è quello – è uno dei migliori modi che ha un professionista di presentarsi al potenziale nuovo datore di lavoro.

Vengono redatte da professori universitari e dirigenti e sono un modo per confermare le qualità professionali di un individuo.

Referenze su LinkedIn: uno strumento importante per rendere un profilo più convincente

Da noi sono meno usate, ma su LinkedIn possono rivelarsi uno strumento importante per rendere un profilo più convincente. Alla fine, se sei alla ricerca di un professionista, diciamo un avvocato specializzato in un settore, vedere che i suoi clienti hanno lasciato un feedback positivo è un plus non da poco, un po’ come una sfilza di recensioni a 5 stelle sotto un prodotto venduto su Amazon. Solo che in questo caso il prodotto sei “tu”, e lo “shop” è il tuo profilo.

LinkedIn permette infatti di richiedere direttamente le referenze, ma andare a elemosinare feedback positivi da tutti i contatti presenti nella propria rete non è certo la strategia più efficace. Meglio che concentrarsi sulle persone con le quali si ha un rapporto di massima fiducia. E meglio ancora è non chiederle proprio.

OK, ma come si fa a ottenerle se non si chiedono? Con un piccolo nudge, una “spinta gentile”: scrivendo tu stesso una referenza per loro.

Il social network li avviserà tramite una notifica e, in molti casi, si sentiranno in dovere di restituire il favore.

Come si scrive una referenza su LinkedIn?

Scrivere una referenza su LinkedIn è estremamente semplice: basta andare sul profilo di un contatto di primo grado (non sarà possibile scriverle per quelli al di fuori di questa cerchia), cliccare su Altro e dal menu a tendina che si aprirà selezionare Scrivi una referenza.

Alla schermata successiva bisogna aggiungere la relazione (cliente, collega, sottoposto, manager…) e la posizione lavorativa di chi vogliamo “raccomandare”. Clicca su avanti potrà poi scrivere la referenza vera e propria. Non c’è bisogno di muri di testo infinito, anzi: meglio essere concisi ed estremamente diretti, come in questo caso

Come richiedere una referenza su LinkedIn

Scrivere raccomandazioni per clienti o colleghi è un modo per attirare la loro attenzione e stimolare, in maniera poco invasiva, una reazione uguale da parte di questi. Quando si pubblica una referenza, il contatto “raccomandato” riceverà una notifica, e sarà stimolato a fare lo stesso.

Ovviamente non si possono raccomandare tutti solo per ottenere qualcosa in cambio, senza contare che in molti casi, soprattutto nel caso di clienti, non è applicabile, e rischierebbero di essere solo parole al vento: adulare qualcuno per ottenere qualcosa in cambio non porterà vantaggi a nessuno dei due, e per questo motivo è consigliabile raccomandare solo persone di cui si può realmente certificare la competenza, in uno specifico ambito.

Una referenza, del resto, è più di un like, e deve far emergere l’unicità e la capacità di quella persona. Lo stesso vale nel senso opposto: chiediamo ai clienti e colleghi solo referenze dimostrabili. Inutile chiedere cose del tipo “Per favore, puoi scrivere che sono bravissimo a fare siti web?” se non ci si è occupati di questo aspetto. Può sembrare ovvio, ma ci sono anche personaggi che cercano di potenziare con questi trucchetti il proprio profilo. Ma i risultati, come facilmente intuibile, non solo i migliori.

Fatta questa premessa, veniamo al punto: come si chiede una referenza su LinkedIn? Esattamente come visto in precedenza per realizzarle: si va sul profilo della persona a cui si vuol fare la richiesta, si clicca su Altro e si seleziona Chiedi una referenza. La procedura è identica a quella vista in precedenza e bisognerà indicare la relazione e la posizione. Al passaggio successivo, invece, bisogna comporre un messaggio per richiedere al contatto di supportarti con una raccomandazione.

I più timidi potranno sentirsi invadenti, è comprensibile, ma non c’è nulla di cui vergognarsi: è una prassi normale e molto adottata. Soprattutto, non stiamo parlando di una sorta di marchetta, ma di un’opportunità di networking. Chiedila solo se hai la certezza di aver fatto un lavoro che è stato apprezzato: se durante la collaborazione sono emersi problemi insormontabili o pesanti divergenze, difficilmente (e comprensibilmente) la otterrai. Meglio insomma concentrare gli sforzi sui lavori, le collaborazioni e le consulenze che ti hanno portato i risultati migliori.

Come scrivere una referenza perfetta sui LinkedIn

Scrivere una referenza non è difficile, ma le prime volte si può cadere nella sindrome del foglio bianco: come inizio? Quali aspetti sottolineo? Come far emergere le caratteristiche positive di questa persona senza far sembrare la referenza una sfacciata sviolinata? Lo spiego nelle prossime righe.

L’incipit di una referenza è fondamentale

Indipendentemente dal tema che si deve affrontare, le prime righe sono per molti le più complicate. Effettivamente, è proprio sulle prime frasi che ci si giocano le carte: se sono interessanti, è probabile che i destinatari proseguano nella lettura, mentre se vengono annoiati, ci si gioca definitivamente la loro attenzione. Il mio consiglio è quello di partire subito con una frase d’effetto in grado di sintetizzare subito quanto andrai poi a spiegare dopo: “Luca è un professionista serio e motivato, con grandi doti di leadership e in grado di mantenere la lucidità anche in situazioni di grande stress”, può essere un esempio.

Non bisognerebbe perdere tempo con lunghi cappelli introduttivi, che rischiano solo di annoiare, ma andare direttamente al dunque, indicando le caratteristiche che rendono questa persona unica e meritevole di una referenza.

Spiegare come abbiamo conosciuto il professionista al quale si scrive la referenza

Una volta rotto il ghiaccio, si può spendere qualche parola in più sul contesto in cui si è lavorato insieme. Non è necessario dilungarsi in inutili dettagli di contorno: si spiega il motivo della vostra collaborazione professionale e come è nata. Per esempio, “Antonio ha iniziato a lavorare da me nel 2019, dimostrando già da subito la sua attenzione per il dettaglio e le sue capacità di problem solving”. Oppure “Ho conosciuto Maria in occasione del lancio di XXX, quando è stata chiamata a gestire la comunicazione del progetto sul quale abbiamo lavorato insieme per 2 anni”.
Come al punto precedente, non c’è bisogno di aggiungere troppi dettagli, ma solo quelli essenziali a far comprendere il contesto a chi la leggerà, oltre che a dimostrare che non si tratta di uno scambio di favori fra amici. Sicuramente più di uno sarà tentato del giocare allo “scambio” di referenze con gli amici più intimi, ma  non è l’approccio migliore, dato che per quanto ben scritte, sarebbero poco credibili. Ricordare che non c’è bisogno di scrivere e chiedere referenze da tutti i contatti, e nemmeno dalla maggior parte: ne bastano una manciata, ma devono essere relative ai progetti più importanti e significativi della tua carriera.

Mettere in luce i punti di forza

Dopo aver brevemente descritto il contesto della collaborazione con la persona alla quale si sta scrivendo la referenza, è il momento di espandere un po’ il concetto introdotto all’inizio, nella prima frase. In parole semplici, spiegare perché si suggerisce ad altri di affidarsi a questo professionista, ovviamente evitando le banalità tipo “è bravo e competente”. Ci si concentra. semmai, su ciò che lo contraddistingue dai suoi colleghi: potrebbe essere l’empatia, la capacità di pensare fuori dagli schemi, le sue doti di multitasking. Per esempio, “Chiara ci ha aiutato a risolvere un problema che ci portavano avanti da anni: dovevamo mettere in piedi un CRM per gestire in maniera più snella ed efficace i nostri contatti ma i vari tentativi si erano rivelati insoddisfacenti. Grazie al suo supporto, abbiamo trovato una piattaforma adatta alle nostre necessità, e Chiara ci ha aiutato sia nella fase di setup, sia nella formazione dei nostri collaboratori. In poche settimane, tutti i nostri dipendenti avevano imparato a utilizzare il CRM, che si è rivelato uno strumento chiave per ottimizzare i nostri processi interni”.

Come concludere la referenza

Dopo l’incipit, uno degli aspetti più difficili per chi è alle prime armi è quello di concludere il testo. Si ha sempre l’impressione di lasciare un discorso a metà. Il modo migliore è quello di chiudere con una frase semplice ed essenziale, un po’ come si comincia la referenza. Qualcosa del tipo “Se hai bisogno di qualcuno con una forte competenza nello sviluppo di web app, Antonio è la persona giusta”.

Qualche suggerimento aggiuntivo per scrivere una referenza efficace

La sintesi è il migliore alleato. LinkedIn ti mette a disposizione 3.000 caratteri: se non bastano, vuol dire che siamo stati troppo prolissi. Taglia, e di molto. Non bisogna scrivere un romanzo. Gli utenti di LinkedIn tendono a essere molto diretti e amano arrivare subito al punto. Tutto quello che è di troppo, rischia di annoiare e distoglie dall’obiettivo. Cerchiamo di stare all’interno delle 200 parole, all’incirca 1.500 caratteri di testo.
Dal feedback deve trasparire entusiasmo ma non bisogna esagerare: non si deve adulare il destinatario, ma semplicemente mettere in luce le sue competenze professionali. Soprattutto, non scrivere decine di referenze in breve tempo.

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Guida definitiva a Roblox (per genitori)

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Negli ultimi anni si fa un gran parlare di Roblox, una piattaforma di gioco che sta collezionando record su record. Pur non essendo un titolo mediatico come i celebrati Minecraft e Fortnite, il gioco di Roblox Corporation vanta la bellezza di quasi 200 milioni di giocatori mensili (record ottenuto all’inizio del 2021).

Negli ultimi due anni Roblox ha continuato la sua crescita favorita dai lockdown che hanno costretto a casa milioni di adolescenti e bambini. Nel 2021 il team di sviluppo ha centrato due importanti traguardi: 3 miliardi di account registrati e lo sbarco alla Borsa di New York con una valutazione record di oltre 45 miliardi di dollari (superiore a quella di colossi come Electronic Arts e Take-Two Interactive). Il fenomeno Roblox è entrato anche nella prestigiosa classifica del TIME: Roblox Corporation si è trovata proiettata nella Top 100 insieme a giganti come Microsoft, Sony ed Epic Games.

Nel complesso, i numeri di Roblox restano impressionanti: la community degli sviluppatori presente sulla piattaforma ha superato i 9 milioni, mentre sono disponibili sulla piattaforma quasi 25 milioni di giochi (sì, hai letto bene: è il videogioco più popolare al mondo!). Non solo: il 67% degli utenti ha meno di 16 anni, tanto che possiamo dire che è il gioco preferito dalla generazione Alpha, e circa un terzo dei giocatori proviene dal continente Nordamericano. E sempre durante la pandemia Roblox ha collezionato un altro record tenendo incollati allo schermo quasi 6 milioni di giocatori simultaneamente: lo spazio dedicato alle feste di compleanno virtuali (assomigliano più a dei rave party), per esempio, ha richiamato nuovi utenti.

Senza dimenticare i concerti, come quello di Lil Nas X che per la sua esibizione da 10 minuti ha collezionato circa 33 milioni di visualizzazioni in due giorni:

Rispetto ad altri giochi e piattaforme videoludiche, Roblox ha numeri impressionanti soprattutto tra i giocatori più piccoli: la componente social e la possibilità di provare gratuitamente le “esperienze” create da altri giocatori ne hanno decretato il successo a oltre 15 anni dalla sua pubblicazione.

Che cos’è Roblox?

Non ti è mai capitato di sentire qualche adulto o un amico un po’ grandicello parlare di Roblox come di un “gioco di costruzioni per bambini alla Lego/Minecraft” o di “un gioco social dove vendere cose”? Il titolo di Roblox Corporation è un po’ tutto questo ma resta un gioco difficile da catalogare. È possibile definire Roblox come una piattaforma che permette al giocatore di creare i propri giochi e di condividerli con i propri amici (la famosa community).

Detto così Roblox potrebbe sembrare uno store digitale di quelli che usi per scaricare le tue app preferite sullo smartphone o per comprare il nuovo Call of Duty o FIFA su console. Roblox è molto di più una vetrina/negozio virtuale: è una piattaforma che mette a disposizione tonnellate di contenuti e gli strumenti per crearli, esperienze interattive e ritrovi virtuali per pochi o per tutti e, soprattutto, è una community in cui tutti possono socializzare tra loro per sviluppare nuovi progetti/idee.

Sulla piattaforma sono disponibili, come detto, più di 25 milioni di giochi/esperienze e il loro numero è in costante aumento. Perché chiunque può creare qualcosa su Roblox, anche tu. Non devi essere un talentuoso programmatore per creare un gioco, né sei obbligato a spendere denaro per acquistare costosi e complicati software: la piattaforma mette a disposizione tutto il necessario per dar sfogo alla tua creatività, per trasformare le tue idee in qualcosa di virale.

Ricapitolando, puoi creare il tuo mondo, decidere le regole e stabilire chi può entrare a farne parte e chi no. Puoi decidere se creare dei contenuti extra a pagamento (oggetti speciali, per esempio) che gli utenti possono acquistare tramite i Robux, la moneta digitale del gioco che può essere convertita in denaro reale. Perché all’interno del tuo mondo puoi vendere quello che vuoi e puoi “monetizzare” quello che ha inventato. Una volta scaricato Roblox puoi passarci ore, mesi e anni senza spendere nulla, semplicemente provando i contenuti creati dagli altri giocatori: nessuno ti obbliga ad acquistare i cosiddetti extra.

Il merito del successo è da attribuire agli influencer

Il progetto è nato nel lontano 2004 per merito di David Baszucki (a sinistra nella foto) ed Erik Cassel: da quel momento la sua crescita è stata lenta e continua. I bambini di tutto il mondo ci giocano online grazie a un’applicazione per telefono, tablet o browser web. Roblox si scarica gratuitamente ed è disponibile per PC, MacOS, Xbox One/Series S/X, dispositivi Android e iOS: sta per arrivare anche su PlayStation 4/5 e Nintendo Switch, oltre che su Oculus Quest (la realtà virtuale).

Su App Store e Google Play è sempre ai primi posti delle classifiche con centinaia di milioni di download, anche se lo scorso dicembre il team di Roblox ha dovuto bloccare l’app per iOS e Android disponibile sul mercato cinese (chiamata LuoBuLeSi). Il successo di Roblox è da attribuire soprattutto a piattaforme social come Twitch e Youtube: gli influencer, infatti, hanno creato centinaia di migliaia di ore di contenuti dedicati interagendo con il pubblico e facendo intravedere un potenziale economico incredibile alle aziende che fanno la fila per proporre i loro prodotti all’interno di questi mondi virtuali (vedi il caso di Gucci).

Per giocare a Roblox ti serve un account

Puoi giocare a Roblox su PC/Mac, console e persino sui dispositivi mobile: su PC, per esempio, puoi scaricare l’applicazione ufficiale direttamente dal Microsoft Store. Per quanto riguarda le altre versioni, devi accedere al rispettivo store e scaricare l’app ufficiale di Roblox.

Per creare un account devi compilare il classico format di registrazione con tutti i tuoi dati (si tratta di inserire data di nascita, e-mail, username e password e il genere d’appartenenza). L’account può essere creato solo da un maggiorenne: un adulto può comunque fornire il consenso per far giocare un minorenne. Una volta completata l’installazione e la registrazione, puoi divertirti con l’editor implementato che offre una buona personalizzazione per il tuo avatar.

Per provare le meraviglie di Roblox hai due possibilità: puoi creare dei giochi utilizzando il pacchetto Roblox Studio, oppure divertirti a giocare con i milioni di contenuti disponibili sulla piattaforma (la libreria è in continua evoluzione). La pagina è suddivisa in molteplici categorie e sono disponibili diversi filtri: da quelli consigliati fino a quelli più popolari o con i voti più alti, c’è davvero di tutto e di più. I titoli disponibili, poi, spaziano dai platform fino ai classici giochi d’azione in terza persona (alla Grand Theft Auto per esempio), senza dimenticare le simulazioni di qualsiasi lavoro oltre a versione “casalinghe” di alcuni titoli popolari e altro ancora. È importante ricordare che si tratta pur sempre di giochi sviluppati in modo amatoriale e realizzati con un livello qualitativo piuttosto basso. Molti utenti, infatti, si divertono a costruire qualcosa di divertente senza avere la pretesa di inventare il nuovo Fortnite. Alcuni titoli diventano talmente popolari da far diventare ricchi i propri creatori attraverso le micro-transazioni (ne parliamo dopo), anche se nella maggior parte dei casi si riescono a ottenere dei guadagni risicati.

Per giocare non devi far altro che premere Play sul gioco che vuoi provare e connetterti ai server di Roblox sul tuo computer/console/dispostivo mobile (smartphone e tablet). Chiaramente puoi chattare con gli altri giocatori e cambiare le impostazioni di gioco in base alle tue esigenze (dai movimenti del tuo personaggio fino alla qualità grafica e altro ancora).

Il mondo virtuale di Roblox è sicuro?

Una “struttura di gioco aperta” in cui libertà d’azione e creatività sono gli elementi dominanti ha permesso a Roblox di ottenere un grande successo tra i più piccoli. La piattaforma, poi, non è altro che un enorme parco giochi in cui puoi provare tutti i giochi/sfide/scenari che sono disponibili, divertirti con gli altri utenti in gruppo e sperimentando con loro con nuove esperienze e altro ancora. Per esempio, in Roblox puoi aggiornare e cambiare le regole dei giochi che hai creato per accontentare i tuoi amici o per andare in contro ai desideri della community. Roblox si gioca online e come qualsiasi titolo del genere non bisogna sottovalutarne pericoli e rischi. I genitori possono davvero sentirsi al sicuro con Roblox? La risposta è “nì”.

Nonostante Roblox sia stato classificato come PEGI 7+, alcuni contenuti all’interno della piattaforma potrebbero risultare pericolosi per la presenza di violenza, sangue o per la richiesta di pagamento in denaro reale (alcuni bambini sono riusciti a spendere con la carta di credito dei genitori cifre a quattro zeri!).

Per questo motivo, la presenza dei genitori è sempre consigliata, soprattutto nel caso dei più piccoli. La piattaforma filtra e controlla tutti i contenuti che vengono creati ma lo fa in modo superficiale e non adeguato (viene richiesta solo l’età): in Roblox, infatti, non mancano giochi in cui i giocatori sono chiamati a combattere (con tanto di schizzi di sangue), uccidere usando armi e altro ancora.

Inoltre, per un bambino risulta piuttosto facile accedere anche i contenuti proibiti: comunque, considerando il numero infinito di contenuti presenti nella piattaforma è sempre possibile segnalare ogni tipo di abuso. Un altro problema che genitori e adulti debbono considerare riguarda le chat presenti in Roblox: è facilissimo per bambini e adolescenti parlare tra loro. Roblox, poi, permette agli utenti anche di giocare in totale anonimato: il rischio di comportamenti inappropriati è molto elevato (nello specifico, cyberbullismo e adescamento online). Un altro aspetto che bisogna sempre considerare riguarda la presenza delle micro-transazioni, che spesso sono mascherate o nascoste nei giochi.

Pe rassicurare i genitori la piattaforma mette a loro disposizione una serie di filtri che possono limitare le attività online svolte dai propri figli. Purtroppo, Roblox non offre un controllo completo: la piattaforma dovrebbe proteggere i dati sensibili degli utenti (nome, cognome, sesso ed età) ma tutti i filtri/blocchi sono facilmente aggirabili. Per quanto riguarda i genitori, per avere una panoramica dettagliata dei sistemi di sicurezza utilizzabili in Roblox basta andare nella sezione apposita “Per genitori” sul sito ufficiale del gioco.

Come creare un gioco su Roblox

Chiunque può creare un gioco o un’esperienza nel mondo di Roblox: per farlo devi semplicemente scaricare il software Roblox Studio. Una volta installato dovrai effettuare il login con il tuo account Roblox oppure crearne uno nuovo. Il software utilizza un linguaggio di programmazione ribattezzato “Lua Script” e mette a disposizione dell’utente una serie di strumenti, modelli di gioco e preziosi tutorial. Questo programma offre molteplici funzionalità che sono completamente accessibili a tutti i giocatori: la maggior parte dei mondi di gioco sono costituiti da una serie di oggetti, principalmente mattoni. Puoi sceglierne il colore, il materiale, le dimensioni e molto altro e a dare vita a stanze virtuali in cui puoi interagire con gli amici.

Una volta selezionato un template avrai a disposizione una serie di oggetti da utilizzare in questo scenario: ci sono tutorial realizzati direttamente dagli sviluppatori (sono in inglese) che ti aiuteranno in quest’operazione. Completata la tua creazione non devi fare altro che pubblicarla per permettere ai tuoi amici e a tutta la comunità di Roblox di giocarci. Una volta completato il format, la piattaforma effettuerà l’upload della tua creazione: per verificare che il tuo gioco sia effettivamente pubblico, dovrai andare sul sito ufficiale di Roblox e cercarlo grazie al nome che hai scelto. Ogni utente può potenzialmente creare dei mondi 3D e consentire a tutti di giocarci: ci sono giocatori che creano degli oggetti virtuali e riescono anche a venderli (serve un account Premium per farlo), mentre altri acquistano abiti, armi o altri oggetti per rendere i loro personaggi più belli ed originali.

I giochi più popolari su Roblox

Sulla piattaforma di Roblox puoi trovare di tutto di più: se non sai cosa scegliere, ecco qualche consiglio. Pubblicato nel 2017, Adopt Me! è un gioco multiplayer online in cui i giocatori si prendono cura degli animali domestici. Sviluppato da due ragazzi (il team di sviluppo è attualmente composto da 40 persone!), Adopt Me! è diventato in meno di cinque anni il gioco più famoso su Roblox con numeri pazzeschi: nel 2021 è stato provato da quasi 60 milioni di utenti unici mensilmente e giocato la bellezza di 22 miliardi di volte. Non male per un gioco in cui l’obiettivo è quello di adottare degli animali domestici e vivere insieme a loro sotto un tetto.

Se ti piacciono giochi di questo tipo ti segnalo anche Gacha Online, una versione aggiornata di Gacha Life che offre una tonnellata di animali domestici di cui prendersi cura.

Un altro gioco piuttosto popolare per tutto il 2021 è stato Squid Game, ispirato alla famosissima serie TV prodotta Netflix. La versione di Roblox (ci sono innumerevoli cloni sulla piattaforma) ti catapulta su un’isola misteriosa con un unico obiettivo: sopravvivere. Per i contenuti violenti proposti, non è un titolo adatto ai più piccoli. Se ami i “battle royale” in Roblox puoi trovare anche il famoso PlayerUnknown’s Battlegrounds (PUBG): anche qui c’è un’isola piena di armi e dozzine di altri giocatori con cui combattere che ti aspetta.

In Anime Fighters Simulator, invece, potrai vestire i panni di un personaggio di un anime giapponese: da Kenshiro a Goku, c’è di tutto di più!

Sulla falsariga di Anime Fighters Simulator c’è Shindo Life, una splendida avventura dedicata a Naruto con tante missioni da completare.

Uno dei giochi più apprezzati sulla piattaforma è Work at a Pizza Place, un simulatore di pizzeria. Il gioco ti mette nei panni di un pizzaiolo che si diverte a preparare le sue pizze e a gestire il locale con tanto di registratore di cassa.

Brookhaven, invece, è una sorta di gioco di ruolo che simula la vita di tutti i giorni. I giocatori possono personalizzare i propri personaggi come vogliono, comprare casa, scegliere un lavoro, chiacchierare con gli altri, visitare negozi, uscire per un appuntamento e altro ancora.

MeepCity è un altro gioco di ruolo simile a Brookhaven: infatti, è possibile girovagare, fare amicizia, personalizzare la propria casa e avere animali domestici (i Meeps). I giocatori possono spalare la neve, pescare o giocare a minigiochi per guadagnare monete e comprare vestiti, accessori e altro ancora.

Jailbreak, invece, permette di vivere una vita da criminale: per iniziare devi evadere dalla prigione in cui sei rinchiuso. Una volta fuggito, dovrai trovare un’auto (scommetto che ti ricorda GTA…) e organizzare delle rapine. Jailbreak resta uno dei giochi più complessi e interessanti presenti sulla piattaforma.

Se ti piacciono i giochi alla RollerCoaster Tycoon, Theme Park Tycoon 2 fa al caso tuo: si tratta di simulatore di parco giochi. Avrai la possibilità di costruire e gestire tutte le giostre e dovrai studiare a loro disposizione per accogliere il maggior numero di giocatori possibile.

Se cerchi qualcosa di sensazionale, World Zero è uno dei giochi più spettacolari che troverai su Roblox. Strutturato come un classico MMORPG, potrai creare il tuo personaggio scegliendo la classe e potenziando le sue abilità: completando le innumerevoli sfide potrai guadagnare punti esperienza. Insieme ad altri giocatori, poi, potrai divertirti a esplorare mondi e dungeon.

Se sei alla ricerca di un po’ di adrenalina, Arsenal è il titolo che può fare al caso tuo: è uno sparatutto old style ispirato ad alcune leggende videoludiche come Quake e Unreal.

Interessante anche Tower Defense Simulator che propone un classico “tower defense” in cui dovrai affrontare orde di terribili creature (anche zombie) cercando di sopravvivere il più possibile.

Speed Run 4 non è altro che un divertente platform con un sistema di controllo che funziona sorprendentemente bene e livelli ben progettati. In base alle tue prestazioni otterrai delle ricompense speciali oltre a oggetti esclusivi per personalizzare il tuo avatar.

Occhio ai clown, alle borse di Gucci e a Paris Hilton!

In Roblox le sorprese non mancano mai: mesi fa un misterioso clown aveva cominciato a terrorizzare tutti i giocatori. Digitando la frase “?Iloveyou” appariva come easter egg uno stranissimo video con un uomo vestito da clown che si schiaffeggiava.

Roblox, tralasciando i clown, continua ad attirare aziende che utilizzano la piattaforma per realizzare degli eventi speciali e collaborazioni. Uno dei marchi più iconici del Bel Paese come Gucci ha organizzato un evento virtuale: la celebre casa di moda ha creato la “Gucci Garden Experience”, aree digitali con una serie di accessori griffati.

Alcuni “fortunati” giocatori hanno potuto acquistare per un periodo limitato alcuni oggetti speciali prodotti da Gucci: una volta usciti dal negozio virtuale sono stati puntualmente rivenduti a cifre folli (alcuni hanno toccato anche 4.000 dollari!). Alcuni giocatori, infatti, pur di griffare il proprio avatar con gli accessori Gucci non hanno badato a spese.

L’ultima celebrità a conquistare la scena di Roblox è stata Paris Hilton, ex modella, attrice e cantante a stelle e strisce nonché nipote del fondatore dell’omonima catena alberghiera Hilton. Nelle vesti di imprenditrice, lo scorso 31 dicembre 2021 ha creato “Paris World”, un’isola virtuale che ha debuttato nel mondo di Roblox con tanto di party digitale e dj set condotto dalla stessa Paris. All’interno dell’isola è possibile accedere ad attività speciali, mini-giochi e merchandising esclusivo: tutto rigorosamente a pagamento (ho trovato cloni delle Ferrari a migliaia di euro…).

Robux, la valuta interna al gioco

Gli acquisti sulla piattaforma si materializzano attraverso la valuta virtuale chiamata Robux che può essere guadagnata oppure acquistata: attualmente 450 Robux equivalgono a 5 euro. Per ottenere dei Robux gratis è invece necessario attivare un abbonamento Roblox Premium, che consente di ricevere gratuitamente un pacchetto di Robux ogni mese e di averne un 10% in più in ogni pacchetto acquistato dallo store.

L’abbonamento è fondamentale se vuoi vendere le tue creazioni sulla piattaforma di gioco (l’azienda premia gli sviluppatori concedendo loro circa il 30% delle entrate dagli acquisti virtuali): è possibile sottoscriverne uno da 450 Robux (4,99 euro al mese), da 1.000 Robux (9,99 euro al mese), 2.200 Robux (20,99 euro/mese). Se non vuoi attivare un abbonamento può usare le classiche carte regalo, disponibili in tagli da 10 e 20 euro e acquistabili un po’ ovunque (Amazon, Gamestop, per esempio): in questo modo puoi aggiungere fondi al tuo account per pagare non solo un abbonamento Roblux Premium ma per acquistare dei pacchetti di Robux. È possibile anche ricaricare i Robux: sono disponibili tagli da 800 Robux (10 euro), 2.000 Robux (25 euro) e 4.500 Robux (50 euro).

Concludendo, Roblox è un qualcosa difficile da spiegare e catalogare: è una piattaforma in continua evoluzione dalle enormi potenzialità che ti permette di fare tutto quello che desideri e con chi vuoi. Il futuro si annuncia ancor più interessante: la piattaforma, infatti, si sta preparando per il Metaverso. Sei pronto a giocarci?

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Come (e perché) applicare lo schema A.I.D.A. alle newsletter

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Le newsletter rimangono uno degli strumenti di marketing digitale più efficace. Nonostante l’e-mail negli anni abbia un po’ perso il ruolo di strumento di comunicazione digitale più usato – prevalentemente a causa delle miriadi di appi di messaggistica istantanea – le newsletter consentono di raggiungere un numero elevato di persone a un costo vicino allo zero. Sicuramente creare il database di indirizzi e-mail ha un costo significativo in termini di tempo e risorse economiche, ma una volta pronto, e costantemente aggiornato in automatico con i nuovi contatti, il suo impatto sulle attività di marketing è notevole.

Se ancora non stai sfruttando il tuo database di indirizzi e-mail, pensando che sia poco efficace e sia meglio fare pubblicità, ti consiglio di ripensare la tua strategia: se da un lato è vero che solo una piccola percentuale di chi riceve le newsletter le apre, dall’altro si tratta sempre di uno strumento di promozione molto potente che fa leva su dei prospect, persone che quindi hanno già manifestato interesse per i tuoi prodotti o servizi. Contatti “caldi”, potremmo dire, più propensi ad ascoltare quello che hai da dire.

In questo articolo non voglio insegnarti come creare un database o cercare nuovi contatti, però, ma voglio concentrarmi su un aspetto per certi versi ancora più importante: ottimizzare il contenuto in modo da renderlo più intrigante e interessante per i lettori, così da migliorare di qualche punto percentuale l’efficacia delle tue newsletter. E mi concentrerò su uno dei metodi più utilizzati nel marketing per creare contenuti – in grado di convertire: il metodo A.I.D.A.

Cosa è metodo A.I.D.A. e perché dovresti applicarlo alle tue newsletter

Il metodo AIDA è attribuito allo statunitense Elias St. Elmo Lewis, considerato uno dei pionieri nell’ambito delle pubblicità e delle vendite, che in una delle sue pubblicazioni specificava che

L’obiettivo di una pubblicità è quello di attrarre i lettori, così che guardino l’annuncio e lo leggano. Poi lo devono interessare, così che prosegua nella lettura. E infine lo devono convincere, così che una volta terminata la lettura gli dia credito. Se un annuncio risponde a questi tre requisiti, allora è un annuncio che funziona”.

Negli anni Sessanta questo metodo ha acquisito una grande popolarità fra chi lavorava nel marketing e tutt’ora è uno degli approcci più utilizzati nella stesura di testi pubblicitari.

A.I.D.A. è l’acronimo di Attenzione, Interesse, Desiderio e Azione.

A come Attenzione (Attention o Awareness): una pubblicità deve catturare l’attenzione del consumatore. Ogni giorno una persona è mediamente esposta a un numero di annunci che varia da qualche decina a qualche migliaio. Solo una piccola parte di questi arriva a destinazione, motivo per cui il messaggio deve essere eccezionale.

I come Interesse (Interest): una pubblicità deve accendere l’interesse del consumatore. Dopo aver catturato l’attenzione, occorre riuscire a farsi leggere davvero. Si dice, in particolare, che il messaggio deve catturare l’attenzione selettiva.

D come Desiderio (Desire): una pubblicità deve innescare il processo di creazione del desiderio da parte del consumatore. Quando il consumatore si identifica nella situazione pubblicitaria proposta, si verifica una sorta di proiezione del suo io, della sua personalità, nel messaggio stesso.

A come Azione (Action): una pubblicità deve condurre all’azione, che si concretizza nell’acquisto del servizio o del prodotto.

Praticamente, il concetto è quello di colpire subito il destinatario della pubblicità, nel nostro caso la newsletter, così da spingerlo ad approfondire, aprendo la newsletter e andando fino in fondo. E condurlo, infine, alla CTA, la Call To Action., che può essere cliccare su uno dei link presenti nella newsletter stessa.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: Attenzione

Punto primo: attirare l’attenzione del destinatario. Questo significa evitare quello che accade in più del 95% dei casi: che venga cestinata.
Cosa puoi fare per stimolare l’attenzione? Su una pubblicità puoi sfruttare un’immagine di forte impatto, ma qui hai solo l’oggetto (che poi è praticamente un titolo). Pochissime parole per convincere il lettore: “Vale la pena di andare oltre!”

Uno degli errori più comuni di chi realizza newsletter è spesso questo: non dare la giusta importanza all’oggetto. Puoi aver realizzato il miglior contenuto del mondo, ma senza un invito alla lettura forte, un titolo efficace, non riuscirai a diffonderlo come merita.

Da evitare assolutamente gli oggetti troppo generici, tipo

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Il primo non dice fondamentalmente nulla e probabilmente si perderà con altre decine di mail simile.

Anche parlare genericamente di offerta non ha senso: devi specificare se si tratta di un profumo, una bicicletta, un servizio, una cena.

Infine, l’ultimo di per sé potrebbe essere un messaggio intrigante. Si parla di uno sconto forte e specifica che si tratta non solo di un TV, ma anche marca e dimensioni. Il problema però che è troppo lungo e articolato per essere efficace. È vero che non hai troppi limiti di spazio nel campo oggetto, ma il punto è cogliere l’attenzione subito, fornendo solo l’essenziale. In questo caso lo sconto e il prodotto. Tutto il resto puoi tenerlo per dopo: ti tornerà utile da sfruttare nel passaggio successivo, quello dell’interesse.

Un oggetto che può funzionare è

  • TV LG OLED 65” col 20% di sconto. Solo il 15 maggio

Se la tua newsletter non è un’offerta, ma include una serie di contenuti, come può essere quella di un sito editoriale, ti consiglio di concentrare l’attenzione sulla notizia più d’impatto, quella che probabilmente rappresenterà l’apertura.

Se col TV è semplice, tutti sanno cosa è e cosa fa, quando devi proporre prodotti o servizi nuovi o meno conosciuti, realizzare l’oggetto richiede più attenzione. Per esempio, puoi aver realizzato il miglior software del mondo, ma se poco lo conoscono, non basta mettere il nome nell’oggetto per invogliare. Anzi, potrebbe essere controproducente e rubare spazio prezioso. Qui il ragionamento che devi fare è un altro? A quale desiderio risponde quello che offro? Hai realizzato un software di workflow digitali? L’oggetto potrebbe incentrarsi sul concetto di risparmiare tempo e migliorare la produttività. Una crema antirughe rivoluzionaria e ecologica? Gioca su questi due concetti per attrarre il pubblico e attirare così il loro interesse. Poi gli spiegherai, quando avrà aperto la mail, cosa e come fa quanto promesso.

Ci sono anche alcuni aspetti tecnici da considerare, a partire dal numero di caratteri. A seconda del client utilizzato e del dispositivo, mobile o desktop, cambierà il numero di caratteri visualizzati in anteprima. Un valore che oscilla dai 50 ai 75 circa. Sui dispositivi mobile, quelli più utilizzati, sono ovviamente quelli che visualizzano meno caratteri. Uno studio di Retention Science hanno fatto una serie di esperimenti per capire il numero di parole che “converte meglio”: fra le  6 e le 10.

Come puoi vedere dal grafico, aumentando le parole, scema l’interesse. Il motivo è semplice da comprendere: la maggior parte delle parole in più non sono visualizzate. Quindi, il messaggio rimane parziale, “troncato”. In termini di caratteri, parliamo di 40/60 battute circa. Non stare a impazzire e diventare matto se sono 62, ecco. Fai però delle prove prima dell’invio per verifica che si legga correttamente anche sui dispositivi mobile.

Alcuni usano anche i caratteri speciali: i simboli Unicode, tipo quelli che vedi qui sotto.

Funzionano? Dipende molto dai destinatari e dai contenuti. Se stai mandando offerte di servizi a dirigenti incravattati probabilmente no. Se stai pubblicizzando un servizio di chat o un’e-commerce di prodotti destinati a giovanissimi, può invece funzionare.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: Interesse

Hai realizzato un buon oggetto e sei riuscito a risvegliare l’attenzione del destinatario della tua newsletter e convincerlo ad aprirla. Il lavoro non è finito, anzi, non siamo nemmeno a metà dell’opera. Passiamo però al secondo punto, l’interesse.

Gli hai promesso una cosa, l’hai spinto ad approfondire: ora non vorrai certo deluderlo.

L’errore più grave che puoi fare è quello di non mantenere fede alla promessa che hai fatto: non solo verrebbe cestinata l’e-mail, ma rischi pure che più di qualcuno annulli l’iscrizione alla newsletter perché si è sentito fregato. Una newsletter non è come i titoli di certi giornali online: il clickbait non ti porterà nulla di buono. Se hai promesso uno sconto del 20%, ma in realtà l’offerta è differente, parli di un altro prodotto o, in generale, fuorviante, farai solo arrabbiare i destinatari.

Se invece hai scelto un titolo efficace e coerente con il contenuto, ora hai a disposizione più spazio e strumenti per comunicare il tuo messaggio. E non devi necessariamente impazzire per formattare la mail: sistemi come SendinBlu o MailChimp includono potenti editor che ti aiuteranno a rendere la tua mail accattivante anche dal punto di vista visivo.
Quando la elabori, però, tiene sempre conto di un aspetto: deve essere funzionale, immediata. Non fare lunghi preamboli, non scrivere muri di testo. Devi fare dell’essenzialità il tuo mantra. Che non vuol dire scrivere sgrammaticando usando le “k” al posto di “ch” o abbreviare il non in nn, ma eliminare tutto quello che non è necessario, che distrae l’attenzione. Devi concentrarti sul messaggio chiave: nell’esempio che abbiamo fatto prima, quello della TV OLED, basta aggiungere i dettagli. Il modello preciso, le condizioni, il periodo di validità dell’offerta. Sicuramente, ci deve essere un’immagine di apertura, evidente, che colpisca l’attenzione. E, sull’immagine stessa, devono essere presenti tutte le informazioni. Che si tratti di un TV, o di un servizio, o di qualsiasi altra cosa, se lo scopo della newsletter è quello di pubblicizzare un singolo prodotto, l’immagine non può mancare, e non dovrebbe servire altro. Tutto quello che è necessario deve essere riassunto lì, in quello che il lettore nota subito.
Questo non ti impedisce poi di usare anche del testo, per esempio per specificare ulteriori condizioni o diciture legali necessarie. Ma tienilo al minimo, perché ora dopo aver catturato l’interesse del tuo lettore, si spera anche che hai scatenato il desiderio. E ora devi spingerlo all’azione, non a leggere dettagli trascurabili: devi invogliare il lettore a fare il cliccare sulla CTA, la Call To Action.

Non sempre il messaggio è così immediato come lo sconto su una TV, come abbiamo visto. Ti ho fatto prima l’esempio di un software per il workflow. Probabilmente avrai degli ottimi comunicati stampa, pieni di parole e molto dettagliati, pieni di grafici. Ecco, riassumi tutto, come se si trattasse di un’infografica. Riduci al minino l’uso del testo: devi dire cosa fa, come lo fa, e quali risultati oggettivi porta: taglio del 10% dei costi, produttività incrementata mediamente del 5%. O anche cose del tipo “Suggerito dagli esperti di XXX”, o “Utilizzato anche da realtà come YYY”.

Ma come posso dire tutto in così poco spazio quando Il mio prodotto è complesso, e non si presta alla semplificazione. Beh, questo lo farai dopo, ora hai creato l’interesse. Al desiderio ci penserai al passo successivo.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: (creare il) Desiderio

In certi casi, il desiderio scatta subito dopo la manifestazione dell’interesse. È il caso della TV di cui parlavo prima: non ci vuole molto altro. Nella maggior parte dei casi, però, non è così. Pensa appunto all’esempio del software di workflow che ti ho fatto. Chi ha aperto l’e-mail ha sicuro mostrato interesse, ma non ancora il desiderio: c’è bisogno di più informazioni, anche perché non si tratta di un acquisto di impatto, che si fa su due piedi, senza ragionare troppo. Insomma, ci sono processi più lunghi quando vendi software, o servizi, come può essere una vacanza, un abito fatto su misura, un corso di formazione.

Devi offrire più informazioni, sino a stimolare il desiderio. Queste azioni dipendono dalla natura del prodotto o servizio: puoi invogliarli a guardare un video sul canale YouTube, a seguire il profilo Instagram, Facebook o del social che usa per la comunicazione. O, utile soprattutto nel caso dei servizi complessi, proporre l’iscrizione a un webinar formativo, o contattare l’azienda per una dimostrazione, a scaricare la versione trial di un’applicazione. O puoi usare più di questi metodi contemporaneamente. L’importante è che sulla newsletter la Call To Action sia unica. Puoi anche inserire più di un pulsante che invita all’azione, per esempio all’inizio e alla fine, e anche a metà newsletter (ma ricorda, niente muri di testo, eh. Sfrutta immagini e formattazione per semplificare la lettura), ma l’importante è che puntino tutte alla stessa destinazione, che molto probabilmente sarà una landing page.
Un errore che viene fatto spesso è quello di mandare all’homepage del sito aziendale: meglio predisporre una pagina dedicata solo a quella campagna, con azioni studiate per “corteggiare” quel cliente, offrirgli in un punto tutte le informazioni di cui ha bisogno. In alcuni casi la landing può essere un canale Instagram, Facebook o Youtube: l’importante è che tu possa poi misurare quello che succede. Chi ci arriva, da dove e cosa fa una volta arrivato qui. Alla fine, quello che devi stimolare è l’azione che, nella maggior parte dei casi, sarà l’acquisto del prodotto o servizio.

Questo potrebbe anche richiedere ulteriori azioni da parte tua: il tuo funnel di vendita non può limitarsi alla sola newsletter, che è solo uno dei tanti strumenti che hai a disposizione.

Il modello A.I.D.A. applicato alle newsletter: Azione

Se hai lavorato bene, una parte degli iscritti alla tua newsletter avrà seguito tutto il percorso: avrai destato la loro attenzione, scaturito interesse e, successivamente, desiderio. Non resta che convertili al passaggio successivo: l’azione, l’acquisto. Questa parte del processo è apparentemente quella la più semplice, ma non sottovalutarla. Questo è a tutti gli effetti un test dei tuoi processi di vendita: ora che il potenziale cliente è pronto all’acquisto, devi fare in modo che il processo sia il più semplice e lineare possibile, privo di attriti.

L’esempio perfetto? Amazon! Pensaci: ti arrivano da mille canali messaggi sui prodotti ai quali hai mostrato interesse in qualche modo e una volta giunto sulla piattaforma, sei pronto per l’acquisto, con un singolo clic, sia che ti trovi sull’app o sul sito. Se anche non sei registrato, il processo è semplice e veloce, praticamente immediato. Questo significa togliere gli attriti (friction-less). Non tutti i siti di e-commerce sono così efficaci, e non tutte le aziende hanno messo in piedi processi tanto snelli. Non ti sto dicendo di investire milioni in software di e-commerce o siti esageratamente complessi, ma di ottimizzare al massimo gli strumenti che già hai per semplificare al massimo il processo di registrazione e acquisto.
Per esempio, consentendo di iscriversi tramite Facebook o Google: basta un clic, l’utente sarà felice. Certo, non può mancare anche un’opzione per registrarsi direttamente usando una mail: fai che sia un processo veloce, altrimenti perderai tanti potenziali clienti. Mi capita spesso di registrarmi a servizi realizzati in maniera pessima: una miriade di informazioni personali inutili (e invasive, tipo: sei sposato, hai figli, età, reddito familiare) da inserire, senza possibilità di saltare un solo campo; mille tentativi per inserire una password che “piaccia” al sistema (metti almeno una maiuscola, una minuscola, un numero, un carattere speciale…); per poi finire con captcha incomprensibili, che in più di un’occasione mi hanno fatto dubitare della mia umanità: effettivamente, forse sono un robot se non riesco a passarli per 4 volte di seguito.

Questi attriti sono fastidiosissimi, segno di una pessima esperienza utente, e rischiano di mandare a monte il buon lavoro fatto fino a questo momento. Ecco perché ti consiglio di verificare le tue procedure, farle provare a più persone e studiare, sempre, un modo per semplificarle ulteriormente e renderle scorrevoli. Questo è un lavoro costante, che non avrà mai fine. Un continuo processo di innovazione che col tempo darà sempre più frutti, migliorando il tasso di conversione delle tue campagne. Pensare che a un certo punto “sei arrivato”, e meglio di così non puoi fare, è un errore: ci sarà sempre qualche aspetto che può essere ulteriormente snellito.

Alcuni modelli di newsletter cui ispirarsi

Campaign Monitor ha raccolto 97 modelli di newsletter davvero ben fatti, soprattutto dal punto di vista del design. Li trovi a questo indirizzo: “Introducing the 97 top email marketing campaign examples and designs“.

A.I.D.A.: non solo le newsletter

In questo articolo ti ho spiegato come applicare il metodo A.I.D.A alle newsletter, ma non è stato pensato solo per questo: si tratta di un approccio al marketing e alle vendite che dovresti applicare a tutti i canali. Ogni volta che fai una sponsorizzazione una ricerca su Google, sui social network, o che realizzi un banner, tieni sempre a mente questi passaggi:

  • Come posso attirare l’attenzione
  • Come posso stimolare l’interesse
  • Come scateno il desiderio in chi ha mostrato interesse?
  • Come posso spingerlo all’azione?

La declinazione sarà ovviamente differente a seconda del canale che scegli, e del pubblico di riferimento, ma il concetto alla base di ogni investimento pubblicitario deve partire da questi concetti.

Qui mostro come si applica il modello anche ai contenuti social:

Il corso su newsletter e DEM on demand di Primopiano

Ho realizzato con Primopiano di Milano un corso su newsletter e DEM (direct email marketing) che puoi trovare a questo indirizzo: Corso Newsletter e DEM efficaci

 

Google My Business – tutto quello che devi sapere

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Google My Business è uno dei più potenti strumenti digitali di business per chiunque gestisca un’attività, che si tratti di un negozio, un bar, un ristorante, un’officina, uno studio professionale. Ma anche per un libero professionista come me.

Tramite Google My Business, i clienti potranno trovare facilmente la tua attività online, cercando sul web, oppure direttamente su Google Maps. È totalmente gratuito, ti offre un sacco di analytics (statistiche) su quanti ricercano la tua attività, visitano il sito, ti chiamano telefonicamente o chiedono indicazioni su come raggiungerti.

La cosa più strana? Forse la tua attività è già presente su Google My Business e nemmeno lo sai: chiunque, infatti, può inserire un luogo su Google e farne una recensione, se lo desidera. In tal caso, si tratterà di una scheda generica sulla quale non hai – ancora – controllo. Questo può rivelarsi un grosso problema: un mio cliente, con 100.000 clienti (contenti ma silenti) sul territorio, non aveva controllato questo presidio Web e s’era beccato una cinquantina di recensioni a una stella; un enorme problema reputazionale!

Una volta che decidi di registrare la tua attività su Google, potrai prenderne il controllo e modificare le informazioni (orari di apertura, turni di chiusura, numero di telefono, immagini e via dicendo) e rispondere alle recensioni.

A cosa serve Google My Business?

Google My Business è uno strumento che ha due finalità principali: la prima è quella di permettere a tutti di rintracciare la tua attività su Internet. Ovviamente la gente non cercherà necessariamente il tuo nome (a meno che tu sia particolarmente noto nel tuo settore), ma un’attività generica: carrozziere, meccanico, pub, pizzeria, agenzia di viaggio e via dicendo. Quando qualcuno fa queste ricerche, soprattutto da smartphone, Google tenderà a proporre le attività corrispondenti come primi risultati, evidenziando proprio le pagine Google My Business. La stessa ricerca può essere effettuata anche su Google Maps.

Ma come è fatta una scheda di Google My Business (d’ora in poi GMB)? Fondamentalmente, è una sorta di mini-sito (o meglio sito one page) per la tua attività, che potrebbe benissimo sostituire un sito ufficiale. Se non ne hai uno, diventerà automaticamente questo; ma se hai già un sito, non ti consiglio di chiuderlo, bensì di tenerlo aperto e indicarlo nell’apposita sezione di GMB. La soluzione di Google, infatti, non sostituisce la tua presenza ufficiale online, ma la affianca, inserendo una serie di strumenti di analisi molto efficaci che sarebbe complicato e costoso integrare sul tuo sito.

L’analisi dei dati è proprio la seconda finalità di questo strumento: tramite la pagina di GMB potrai infatti sapere quante persone hanno cercato la tua attività, quanti hanno chiesto indicazioni a Google Maps per raggiungerla, quanti ti hanno chiamato passando direttamente da GMB, quali sono gli orari di maggiore affluenza alla tua attività, oltre a poter rispondere alle recensioni degli utenti.

Potrai anche usarlo come blog, inserendo qui tutte le informazioni rilevanti per la tua attività. Non solo: avrai anche facile accesso a una serie di strumenti promozionali, come le inserzioni su Google, e tramite un clic potrai anche creare un indirizzo di Gmail personalizzato, che non usa Gmail.com ma il tuo dominio, tipo www.nomeazienda.it, che dovrai registrare, se non lo hai ancora fatto. Non ti preoccupare se non sai come fare queste cose: verrai supportato tramite alcune guide passo a passo nelle varie operazioni necessarie.

Come aprire un profilo Google My Business

Aprire un nuovo profilo è estremamente semplice: vai all’indirizzo https://business.google.com, accedi col tuo profilo Google e seleziona “Crea la tua attività”. A meno che quest’ultima non sia stata aperta da pochissimo, è estremamente probabile che sia già online, magari anche con qualche recensione. Non ti preoccupare, non sei stato usurpato da nessuno: chiunque, infatti, può creare un’attività, se non presente, così da recensirla e inserire delle foto. Se ti trovi in questa situazione, non devi far altro che rivendicare l’attività, semplicemente cliccando sul tasto “Rivendica questa attività” e, successivamente, su “Gestisci ora”. Per assicurarsi che solo il proprietario possa eseguire questa operazione, Google ha preso delle precauzioni e quindi pretenderà delle prove. Tipicamente, ti verrà inviato all’indirizzo dell’attività una cartolina via posta (quella lenta, delle Poste Italiane) che conterrà un codice: potrai usare questo come verifica e a questo punto sarai a tutti gli effetti “proprietario” di questo spazio virtuale. Ovviamente, saranno necessari alcuni giorni. Quanti siano, dipende dall’efficienza del servizio postale italiano. Metti in conto di attendere almeno una settimana, in ogni caso, ma potrebbe volerci più tempo.
Fortunatamente, alcune particolari attività possono essere rivendicate anche attraverso altri metodi: tramite il numero di telefono, sul quale riceverai un SMS contenente il codice; via e-mail; in alcuni casi, addirittura inviando un video (procedura che richiede circa cinque giorni lavorativi, dato che il filmato dovrà essere esaminato. In rari casi, basterà usare la Search Console di Google per poterla rivendicare immediatamente.

Se invece l’attività non è ancora presente, non ti resta che crearla seguendo la procedura guidata, che riassumo qui di seguito. Accedi a Google My Business (https://business.google.com) e seleziona “Aggiungi Nuova Attività”. A questo punto, metti il nome, nel nostro caso un generico “La mia attività”.

Al passaggio successivo, indica la categoria. Se sei indeciso, non ti preoccupare: al contrario del nome, potrai modificare tutte queste informazioni in ogni momento. Attenzione, però: non puoi inventarti una categoria, ma devi limitarti a quelle preimpostate da Google.

Inizia quindi a digitare e vedi i suggerimenti che ti arrivano. “Servizi di consulenza”, per dire, non è utilizzabile, ma puoi usare “Consulenza del lavoro”, “Consulenza edile”, così come “Servizi di consulenza fiscale”. I questo caso, abbiamo scelto “Consulente aziendale”.

Se hai una sede fisica, specificalo al passaggio successivo. Andando avanti ti saranno poste ulteriori domande che ti aiuteranno a completare il profilo: se effettui servizio a domicilio, per esempio, e quali aree copri con questo servizio. Infine, dovrai indicare il numero di telefono dell’attività e specificare il suo indirizzo Internet, sempre che l’attività abbia un sito. A questo punto, ti verrà richiesto di verificare l’attività secondo uno dei metodi disponibili, a seconda della tipologia di realtà che hai registrato. Nel nostro caso siamo stati fortunati: è bastato un cellulare sul quale abbiamo ricevuto l’SMS.

Il lavoro non è ancora finito: ora GMB ti chiederà ulteriori informazioni. Può sembrare una scocciatura, ma in realtà compilare correttamente tutti i campi è un lavoro molto utile, che ti eviterà di dover modificare la scheda più avanti: i dati richiesti infatti saranno quelli fondamentali per l’utente finale. Non compilarlo significherebbe avere una scheda GMB “monca”, molto meno efficiente di una che riporta tutte le info utili. A partire dagli orari e i giorni di apertura, o se vuoi accettare messaggi. A quest’ultima ti direi di rispondere sì senza pensarci due volte, ma mi raccomando: devi poi rispondere a tutti, possibilmente in tempi MOLTO brevi. Un’ora è il limite, di solito. Idealmente, dovresti rispondere entro 5 minuti, anche se mi rendo conto che spesso è impossibile, a meno di avere una persona dedicata a questo o quasi.

Ora non ti resta che descrivere la tua attività. Hai 750 caratteri per farlo, che a mio avviso sono più che sufficienti. Non devi incensarti o fare un’auto-agiografia: non interessa a nessuno! Concentrati sulle caratteristiche che ti differenziano, sui problemi che risolvi e soprattutto sui servizi che offri, senza necessariamente elencarli uno per uno, soprattutto se sono numerosi. Per questo, infatti, c’è una sezione apposita, che ti spiegherò più avanti.

Se ha senso, puoi includere una breve storia della tua attività, ma ricordati che non devi annoiare il lettore e devi andare subito al sodo: ripari auto storiche? Questo è un dettaglio che merita di essere specificato, per esempio. Sei un idraulico? Può aver senso specificare che ti occupi di vendita e assistenza per le caldaie. Hai un panificio? Sottolinea che fai il pane è pleonastico: sicuramente ci sono elementi più interessanti che ti caratterizzano, come la qualità delle farine che usi, o le tecniche che adotti.

Fatto questo, è ora di inserire le foto. Queste verranno poi visualizzate sia nelle ricerche su Google sia in Google Maps, e sono fra gli elementi che fanno la differenza nel convincere un potenziale cliente ad usufruire o meno dei tuoi servizi. Chiunque potrà aggiungerne in seguito, ma le tue avranno la priorità e saranno indicate come “Caricate del gestore”, oltre che suddivise per interni, esterni e via dicendo. Puoi anche inserire foto a 360°, che sono molto efficaci, soprattutto nel caso di negozi di moda, tecnologia, attività di ristorazione in genere. Non sottovalutare l’importanza di queste immagini e cerca di inserire gli scatti più belli e rappresentativi. Meglio evitare foto fatte col telefono, per quanto di buona qualità. L’ideale sarebbe affidarti a un professionista, in particolare se operi nel settore della ristorazione (la foto dei tuoi piatti è un elemento chiave nella scelta di un locale dove mangiare) o nella moda.

A questo punto Google ti chiederà se vuoi fare pubblicità. Ti consiglio di saltare questo passaggio: concentrati sul creare la scheda della tua attività e solo dopo valuterai se ha senso fare pubblicità tramite Google Ads.

A questo punto, ti troverai di fronte alla dashboard della tua pagina Google My Business, dove potrai verificare le statistiche e modificare ogni aspetto. L’interfaccia è estremamente semplice ed essenziale e ti verranno suggerite subito le azioni da intraprendere, come realizzare un post, aggiungere un’immagine e, inevitabilmente, fare pubblicità. Non sei obbligato a farlo, naturalmente, ma Google inevitabilmente te lo proporrà con una certa frequenza, in molti casi anche inviandoti del credito omaggio da investire, solitamente qualche decina di euro, così da invogliarti. Del resto, il servizio GMB è gratuito e spronarti a investire sugli strumenti pubblicitari è il modo che ha Big G di monetizzare. In questa sede, però, non affronteremo il tema delle adv, che è complesso e richiederebbe un articolo a parte.

Scrollando verso il basso potrai verificare i vari suggerimenti, fra cui quali informazioni aggiungere per migliorare la tua scheda. Se hai indicato le informazioni in tutti i passaggi indicati in precedenza, senza ignorarli, sarai già a buon punto. Nel nostro esempio, il profilo era completo al 70% e GMB ci ha suggerito di aggiungere il logo dell’attività appena creata. Se non vuoi gestirla personalmente, ma vuoi delegare uno dei tuoi collaboratori o un professionista, vai su Utenti, nella barra a sinistra: potrai aggiungere ulteriori persone che potranno avere i privilegi di Proprietario o Gestore, con quest’ultimo che avrà qualche privilegio in meno. Nello specifico, non potrà rimuovere il profilo né aggiungere altri utenti. Ulteriori informazioni sui ruoli sono disponibili a questo indirizzo.

Dallo stesso profilo Google puoi gestire più attività, sia come proprietario sia come gestore, fatto utile nel caso tu possieda più punti vendita, per esempio, o se ti occupi di consulenza marketing e usi il tuo profilo per gestire le attività GMB dei tuoi clienti.

Completare il profilo Google My Business: servizi e prodotti

Alcune informazioni che possono essere molto utili per i clienti finali non ti vengono suggerite dal wizard iniziale, ma dovrai aggiungerle dopo aver completato la scheda. Fra queste, i servizi e i prodotti offerti. Puoi trovare queste voci nella barra a sinistra: basta cliccare sulla sezione che vuoi integrare e aggiungerli, uno per uno. Aggiungere nuovi servizi è estremamente semplice, si tratta di un mero elenco di attività che svolgi. Merita invece un approfondimento la sezione prodotti, che può risultare utilissima per i venditori, ma non solo. Andando nella sezione Prodotti e cliccando su Inizia potrai infatti creare un vero e proprio catalogo online, con foto e descrizione di ogni singolo oggetto. Potrai creare diverse categorie, specificare il prezzo (se lo desideri, non è obbligatorio), e aggiungere un pulsante con una CTA selezionabile fra le seguenti:

  • Ordina online
  • Acquista
  • Scopri di più
  • Vai all’offerta

Questo pulsante porterà poi a un link che potrà portare al tuo e-commerce, Amazon e Ebay inclusi, a un form da compilare o a una pagina web con ulteriori informazioni. Sebbene siano i negozianti i principali utenti di queste funzionalità, nulla ti impedisce di usare questa sezione in maniera creativa: un ristoratore potrebbe offrire dei coupon per la cena, così come un carrozziere un buono per un trattamento nanotecnlogico. Il tuo unico limite è la fantasia.

Creare un sito web da Google My Business

Come ti ho detto prima, GMB non si sostituisce al tuo sito ma è uno strumento complementare. Se hai già un sito, basta indicarlo e gli utenti potranno raggiungerlo cliccando su Sito Internet, anche direttamente dall’anteprima di Google My Business, che riporta anche pulsanti per chiamare direttamente o attivare il navigatore che porterà direttamente in loco. Se non ne hai uno ma vuoi realizzarlo nella maniera più semplice possibile, clicca su Sito Web dalla colonna di sinistra. Si aprirà un editor WYSIWYG (What You See Is What You Get) dove potrai scegliere un tema, modificare font e colori, aggiungere immagini e via dicendo. Non sarà un sito ultraprofessionale, ma l’interfaccia è infinitamente più semplice rispetto al classico WordPress, e non dovrai pagare un euro né essere costretto ad avere pubblicità di terzi. L’indirizzo predefinito però avrà un indirizzo del tipo la-mia-attivita.business.site. Vuoi un dominio personalizzato? Nessun problema: specifica l’indirizzo e, se il dominio è libero, Google ti permetterà di acquistarlo in un click, indicandoti subito il prezzo per la registrazione annuale.

Statistiche: uno strumento prezioso per potenziare il tuo business

Una volta completate tutte le informazioni, il tuo GMB sarà pronto e visibile. Che fare ora? Per il momento, nulla, oltre a verificare che tutti i dati inseriti siano corretti, che siano presenti tutte le informazioni e che non ci siano refusi. Attendi un po’ di tempo per vedere cosa succede, diciamo un mesetto, e poi inizia a guardare le statistiche. L’unica eccezione è rispondere ai messaggi e alle eventuali recensioni che riceverai. Ai messaggi, il prima possibile, soprattutto se sono messaggi rilevanti, come informazioni dettagliate sui servizi o prodotti offerti. Considera che oggi l’utente medio si aspetta una risposta immediata usando canali digitali, motivo per cui sono in tanti a usare dei bot su Facebook, Instagram o sui loro siti internet. Ti anticipo subito che potrebbero arrivare domande anche irritanti: da chi ti chiede informazioni presenti e corrette (tipo gli orari di apertura dell’attività) a chi ti fa domande totalmente prive di senso o scritte in un italiano incomprensibile. Rispondi sempre educatamente, anche a chi si comporta un po’ da cafone. Piuttosto che cercare la rissa, ignoralo: purtroppo, i maleducati non mancano, ma abbassarti al loro livello, pubblicamente, sarebbe una pessima mossa.

Ora che è passato un mese, ha senso iniziare a guardare le statistiche per capire cosa sta succedendo e se la tua pagina sta “funzionando”. Accedi alla tua pagina GMB e vai su Statisiche nella sezione di sinistra. Il primo dato che ti verrà presentato sarà relativo alle ricerche: come ti ricercano i clienti su Internet? Fondamentalmente, hai tre opzioni: ti hanno cercato direttamente, mettendo l’indirizzo oppure il nome preciso della tua attività; ti hanno trovato genericamente, per esempio cercando con chiavi come “Gelataio”, “gommista”, “ristorante indiano”; ultima opzione, hanno cercato il nome del tuo brand (tipo McDonald’s, nel caso tu gestista in franchise un punto vendita del noto marchio americano) e di uno dei prodotti che offri, per esempio “Sushi” nel caso tu gestisca un ristorante giapponese.

Il secondo grafico ti indica quante ricerche sono effettuate su Google e quante direttamente da Google Maps, e il terzo sulle azioni svolte dai clienti: quanti sono andati sul sito ufficiale dopo aver visto la tua pagina GMB, quanti hanno chiamato telefonicamente, quanti hanno chiesti indicazioni al navigatore su come raggiungerti. Il quarto grafico è legato a quest’ultimo, e ti indica da quali aree provengono le richieste di chi trova indicazioni. Ti può tornare utile per capire le aree su cui effettuare investimenti pubblicitari, nel caso decidessi di farlo.

Ulteriori informazioni statistiche ti indicheranno i giorni della settimana in cui ricevi più telefonate e gli orari di punta, cioè quanto la tua attività è più frequentata. Si tratta in realtà di un dato più utile agli utenti finali che a te, dal momento che queste informazioni dovresti già averle sottomano. In fondo alla sezione delle statistiche trovi infine i dati relativi alle tue foto, che possono tornare molto utili in quanto vengono comparati a quelli delle attività simile alle tue, e sono suddivisi sulla base delle foto pubblicate da te e quelle pubblicate dai clienti.

Perché Google My Business può aiutarti a vendere di più?

Che tu sia un noto professionista o un piccolo esercizio di quartiere, il vantaggio di Google My Business è che ti permette di intercettare le ricerche effettuate sia su Google sia su Google Maps, che sono i principali strumenti utilizzati dalle persone quando si presenta la necessità. Il tipico esempio? Un turista che cerca una gelateria nelle vicinanze per concedersi un momento di pausa dalle sue esplorazioni. Ma anche lo sfortunato automobilista che ha un problema alla sua vettura e, trovandosi lontano dal suo meccanico di fiducia, ha bisogno di un supporto il prima possibile. Ma questo vale anche per gli studi professionali: chi ha bisogno di un avvocato, un commercialista, un notaio, un dentista, tende spesso ad affidarsi al passaparola degli amici, è vero, ma non sempre è valido e capita molto frequentemente che si vada alla ricerca dello specialista più vicino per queste esigenze.
Google My Business è anche un servizio utile per chi è già tuo cliente, dato che fornisce al volo informazioni utili e rapide. Se provi a cercare il numero telefonico o l’indirizzo di un negozio o di un pub sul sito, dovrai prima accedere al sito e, nella maggior parte dei casi, sfogliare qualche pagina prima di trovare queste informazioni. Al contrario, Google My Business presenta delle comodissime scorciatoie direttamente dalla SERP, la pagina dei risultati di Google: basta un tap sullo smartphone per avviare il navigatore o effettuare una chiamata, facendo risparmiare un sacco di tempo. Le recensioni, infine, aiuteranno i potenziali clienti a farsi un’idea dei servizi offerti, naturalmente se sono positive. Non tutti tendono a farle, e per questo motivo se sei in confidenza coi tuoi clienti puoi chiedere cortesemente se vogliono darti un feedback ufficiale, mettendolo nero su bianco sulla pagina. Il modo meno invasivo per farlo? Chiedi al cliente di lasciarti una mail o un recapito telefonico, dove potrai inviare la fattura o altre informazioni. Dopo aver offerto il servizio, invia una mail con allegata la fattura e, in calce, metti due righe chiedendo se desiderano lasciare una recensione, naturalmente inserendo il link diretto. Non tutti lo faranno, ma in ogni caso avrai acquisito un contatto che potrebbe tornarti utile per le tue campagne di marketing. Attenzione, però: non puoi usarle queste informazioni come nulla fosse: se vuoi inviare loro una DEM o iscriverli alla newsletter, devi infatti chiedere esplicitamente l’autorizzazione. Potrai farlo direttamente nel messaggio che hai inviato loro.

Come funzionano i form di lead generation su LinkedIn?

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Generare un funnel di marketing di per sé non è semplicissimo, anche se dopo un po’ di esperienza le cose diventano molto più semplici. Metterlo in atto, invece, può prendere davvero molto tempo in certi casi. Questo soprattutto quando fai una campagna per acquisire delle lead, quindi l’e-mail o il numero telefonico di persone interessate ai tuoi prodotti o servizi. LinkedIn include delle funzioni che velocizza di molto questo processo, risparmiandoti un sacco di fatica. Fra poco ti spiegherò come usare al meglio, ma prima è meglio fare qualche cenno a come funziona un funnel per l’acquisizione lead e di quali strumenti avresti bisogno se non ti appoggiassi a LinkedIn.

Le basi della lead generation

Quando si parla di lead in marketing si fa riferimento a un potenziale cliente che possiamo contattare: fondamentalmente, una persona che ci ha lasciato una e-mail, un numero di telefono, o ha richiesto/accettato di far parte dei collegamenti su LinkedIn. Il vantaggio di avere dei lead rispetto alla classica pubblicità è che ti costa molto poco raggiungerli, e avendoti già dato il consenso per contattarli, sono più predisposti all’acquisto. Perché costa poco? Pensaci: quando fai una pubblicità su un social network o su Google Ads, stai pagando una certa cifra per ogni persona che stai raggiungendo. Una cifra bassa, solitamente, che ti permette di arrivare a un numero elevatissimo di destinatari. Ogni volta che vuoi fare quella pubblicità, però, continuerai a pagare, anche per raggiungere le stesse persone: i social network non ti dicono infatti chi l’ha vista. Custodiscono gelosamente queste informazioni, comprensibilmente, visto che sono alla base del loro business: far pagare gli inserzionisti per raggiungere un pubblico ben profilato. Se tu avessi però le e-mail o i numeri di telefono di alcuni utenti, potresti farti pubblicità gratis, per esempio via SMS (poco efficace), WhatsApp (più efficace) è e-mail (molto efficace).

Acquisire queste informazioni però non è semplice: le persone ne sono piuttosto gelose, anche perché sanno che equivale a essere bombardati di pubblicità. Per ottenerle, devi dare qualcosa in cambio, non c’è altro modo. Può essere una settimana di prova gratuita di un software o un servizio, un e-book da scaricare, l’iscrizione gratuita a un webinar. Devi trovare una chiave per convincerli.

Una volta che hai individuato la strategia giusta, diciamo un e-book da scaricare, devi metterla in pratica. Lo schema classico prevede di creare una landing page, una semplicissima pagina Internet che spiega cosa stai offrendo (il libro gratis, in questo esempio) e include un form da compilare per poterlo scaricare, form che solitamente richiede nome, cognome e indirizzo di posta elettronica ed eventualmente telefono. Nulla ti vieta di aggiungere più campi (lavoro, settore, e via dicendo) ma considera che più informazioni chiedi, meno è probabile che qualcuno le condivida con te.

I dati devono naturalmente essere acquisiti a norma di legge: prima di accettare le condizioni gli utenti devono quindi poterle consultare se lo desiderano, e deve esserci un link che riporta a informazioni su chi è il responsabile di quei dati e quali sono le finalità di utilizzo. Compilato il form e dato l’OK, l’utente avrà il suo bel libro e tu la sua e-mail o il telefono, e potrai quindi ricontattarlo (quasi) gratis, senza quindi dover ogni volta pagare un social network per raggiungerlo.

Ricapitolando:

  • devi farti un mini-sito
  • devi creare un form
  • devi includere tutte le informazioni richieste per legge
  • devi acquisire e conservare i dati a norma di legge

Non è difficilissimo farlo, grazie anche a tanti servizi online che ti semplificano i vari passaggi, ma è laborioso e richiede tempo.
Con i Lead Gen Forms di LinkedIn puoi semplificare tutto questo processo.

LinkedIn Lead Gen Forms

LinkedIn Lead Gen Forms è uno degli strumenti pubblicitari che LinkedIn ti mette a disposizione per generare lead attraverso il suo enorme pubblico di professionisti. È integrato negli strumenti della gestione campagne pubblicitarie, ed è molto semplice da utilizzare, come vedrai in questa guida passo passo.

Vai nel Campaign Manager cliccando su Pubblicizza e da qui crea una nuova campagna.

Scegli come obiettivo Generazione di lead

Scegli una delle audience che hai già creato o creane una per l’occasione. A tutti gli effetti, stai creando una campagna pubblicitaria su LinkedIn mirata a invitare le persone a compilare un form coi loro dati. Il vantaggio di farlo su LinkedIn è che molti dei campi del form li troveranno già precompilati, quindi non dovranno far altro che accettare, o inserire pochissime informazioni manualmente.

Seleziona il tipo di annuncio, idealmente quello con una singola immagine per questo tipo di campagna.

Imposta infine date, budget e gli altri parametri e poi clicca su Avanti. A questo punto occupati di creare il tuo annuncio, scegliendo immagine e testo appropriati. In questa sede, mi concentrerà sul form, quindi la sezione Dettagli modulo. Dovrai scegliere due parametri usando i menu a tendina. Il primo è la Call to Action. Le opzioni sono

  • Candidati ora
  • Scarica
  • Ottieni preventivo
  • Scopri di più
  • Iscriviti
  • Registrati

Scegli quella adatta al tuo obiettivo. Nel nostro esempio regaliamo un e-book, quindi sarà Scarica. Ora è il momento di creare il modulo dalla sezione Dettagli modulo. Inizia col dargli un titolo e inserire i dettagli dell’offerta. Questi sono facoltativi, ma ti consiglio vivamente di inserirli: stai chiedendo a una persona di darti l’e-mail, è meglio che valorizzi quello che gli stai offrendo se vuoi convincerla.

Molto importante è invece inserire l’url relativo alla privacy, che dovrà essere presente da qualche parte. Potrebbe essere una pagina del tuo sito oppure potresti crearne una facilmente, senza bisogno di avvocati o tecnici, utilizzando un servizio come Iubenda. Ora passa alla sezione Dettagli lead e domande personalizzate. Di default LinkedIn ti propone nome, cognome e indirizzo e-mail, ma puoi aggiungere quanti campi voi. Il mio consiglio è di non esagerare e valutare con molta attenzione questa scelta: è vero che buona parte delle informazioni verranno compilate automaticamente, ma se chiedi troppe informazioni, rischi di scoraggiare le persone, e abbassare il tasso di conversione della tua campagna.

Volendo, puoi aggiungere anche delle domande personalizzate, un massimo di 3. Ora vai nella sezione conferma e scrivi un messaggio di ringraziamento e inserisci l’url di destinazione, cioè l’indirizzo da cui scaricheranno il PDF. Una volta che un utente avrà inserito i dati, gli apparirà un messaggio contenente questo messaggio e il link. Non ti rimane che selezionare la Call-to-action del messaggio di ringraziamento, nel nostro esempio Scarica. Concludi cliccando su Crea per confermare la tua campagna.

I risultati li potrai scaricare poi dal pannello del Campaign Manager, sotto la voce strumenti o, se usi un CRM, collegare il tuo account a quest’ultimo per trovarti automaticamente le informazioni sui lead nel tuo sistema di gestione.

Contattami per una consulenza sulle campagne LinkedIn

Come aprire un profilo in doppia o tripla lingua su LinkedIn

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LinkedIn in poco meno di un ventennio è diventato il social network di riferimento nel mondo del lavoro. La piattaforma ideata da Reid Hoffman nel 2003 si è via via trasformata da punto di riferimento per i professionisti e le aziende in un vero e proprio social network con un numero di iscritti che continua a crescere anno dopo anno. Con una platea di oltre 700 milioni di membri non è facile essere notati da un head hunter. La comunità italiana è piuttosto attiva e partecipe in LinkedIn e ha da poco superato il traguardo significativo dei 14 milioni di iscritti: nel Vecchio Continente è preceduta solo da Gran Bretagna e Francia. Con un bacino d’utenza di tale portata, per diventare un candidato appetibile devi cercare di valorizzare il tuo profilo, aggiungendo nuovi contenuti per attrarre chi è a caccia di talenti per le aziende. Molti recruiter di multinazionali non conoscono bene la nostra lingua e quando utilizzano il motore di ricerca di LinkedIn si affidano tendenzialmente solo all’inglese, dando per scontato che i loro possibili candidati conoscano la lingua d’Albione. Avere un profilo scritto “solo” in italiano non sempre è la scelta vincente: molte aziende, infatti, potrebbero non trovarti o capire che cosa stai cercando di comunicare. La maggior parte degli iscritti a LinkedIn utilizza l’inglese per sfruttare tutte le potenzialità messe a disposizione dalla piattaforma. Quindi, ti consiglio di preparare un profilo in italiano e in inglese (se sei poliglotta, anche in qualche altra lingua).

Il profilo di LinkedIn è il tuo biglietto da visita

Ci sono diversi modi per valorizzare il tuo profilo in LinkedIn: dal titolo fino al sommario, senza dimenticare le competenze e altro ancora. Ti consiglio di curare con grande attenzione ogni singolo dettaglio: chi legge il tuo profilo deve comprendere velocemente che cosa tu puoi fare per lui o per la sua azienda. Purtroppo, la maggior parte dei membri iscritti non sembra essere a conoscenza di tutti gli strumenti messi a disposizione dalla piattaforma, mentre le stesse aziende spesso stentano a comprenderne le immense potenzialità.

Profilo LinkedIn in italiano, inglese o spagnolo?

Nel mondo della digitalizzazione globale avere un profilo LinkedIn ben curato e rispondente a ciò che sai fare e a quello che ti vorresti fare è un requisito essenziale per trovare una nuova occupazione o per dare una svolta alla tua carriera; averlo in più lingue (inglese in primis) può fare veramente la differenza, soprattutto sei stai cercando lavoro oltre i confini della nazione in cui vivi. Fino al 2008 la scelta della lingua incideva pesantemente sulla visibilità del tuo profilo nelle ricerche dei recruiter in LinkedIn: la piattaforma, infatti, tendeva a eliminare i contatti che non parlavano un determinato idioma, limitando così le opportunità di lavoro. Per venire incontro alle esigenze dei propri scritti, la piattaforma ha introdotto la possibilità di avere un profilo in più lingue, che può essere tradotto attualmente in più di una quarantina di idiomi diversi.

Prima di tradurre il tuo profilo in un’altra lingua è importante sapere che cosa stai cercando. In quale area geografica vuoi lavorare? In quale azienda? Che lingua parla il tuo recruiter o un tuo possibile cliente? Per prima cosa dai un’occhiata ai profili delle aziende in cui ti piacerebbe lavorare o entrare in contatto e studia le loro attività e i termini che utilizzano per descrivere le posizioni lavorative aperte. Dopo aver fatto questa ricerca, puoi iniziare a scrivere il tuo profilo LinkedIn nella lingua che hai scelto.

Come creare un profilo LinkedIn in un’altra lingua

È importare ricordare che la lingua che utilizzi abitualmente per navigare in LinkedIn non ha alcuna relazione con quella con cui hai scritto il tuo profilo. Quindi, se un recruiter italiano o un cliente che naviga dall’Italia usano abitualmente la versione inglese di LinkedIn, entrambi avranno accesso al tuo profilo inglese anche se si trovano nel Bel Paese. Come fai a scegliere il linguaggio in cui mostrare il tuo profilo? Devi innanzitutto andare sulla barra superiore in alto e cliccare sull’icona “Tu”: successivamente fai clic su “Visualizza profilo” e ancora su “Aggiungi profilo in un’altra lingua” e scegliere una di quelle disponibili.

Se la lingua che vuoi aggiungere non è presente nel menu, ti consiglio di controllare le impostazioni del tuo profilo per assicurarti che sia nello stesso idioma che hai selezionato. A questo punto gli algoritmi di LinkedIn tradurranno in automatico solo i testi che sono pre-impostati dal sistema: il resto lo devi fare tu. Adesso potrai preparare il tuo nuovo profilo traducendo i contenuti e adattandoli al contesto geografico scelto. Una volta completata l’operazione (ricordati di salvare!) chiunque potrà selezionare la lingua in cui leggere le informazioni contenute nel tuo profilo. LinkedIn permette di avere più versioni del tuo profilo: ti consiglio aggiungere un’altra lingua oltre all’imprescindibile “inglese”. Se un cliente o un recruiter utilizza LinkedIn in una lingua non prevista, la piattaforma proporrà in modo automatico il tuo profilo nell’idioma principale che hai usato durante la configurazione. È importate ricordare che si è iscritto alla piattaforma prima del 2012 avrà come prima lingua del profilo l’inglese e l’italiano come seconda. È possibile cambiare anche la lingua principale del profilo, mentre è possibile creare/aggiornare quella secondaria direttamente dalla versione desktop di LinkedIn, cosa che non è ancora possibile fare dall’app di un dispositivo mobile.

L’importanza di scrivere un sommario in un’altra lingua

Il tuo profilo in un’altra lingua va curato in ogni minimo dettaglio. Il titolo (o headline), per esempio, è una di quelle cose che vanno sistemate e a cui molti utenti continuano a non prestare particolarmente attenzione. Nell’intestazione della pagina LinkedIn, sotto il tuo nome e cognome, hai la possibilità di scrivere un breve testo (un sommario) utile per mostrare a tutti il ruolo che stai ricoprendo attualmente, il nome dell’azienda per cui stai lavorando e per far conoscere te stesso agli altri. Insomma, una specie di mini-annuncio pubblicitario che viene visualizzato accanto al tuo nome e alla foto del tuo profilo ogni volta che gli utenti ti vedranno nel loro feed. Molti utenti, poi, si limitano a inserire solo la qualifica aziendale: infatti, la maggior parte delle headline che puoi trovare in LinkedIn recitano più o meno le stesse frasi (“Account manager presso azienda XXX”). Con una platea che si sta avvinando al miliardo di iscritti come fai a distinguerti da tutti gli altri professionisti presenti in LinkedIn? La chiave per differenziarti è in quello che scrivi in quei 120 caratteri: devi scrivere una mini presentazione mostrando ciò che ti distingue dagli altri. Le parole che utilizzi (e anche le keyword) devono far trasparire la tua personalità e per far capire velocemente che cosa sei in grado di fare. Ricorda: il sommario è il primo testo che LinkedIn mostra a chi è interessato al tuo profilo o che appare quando commenti un post. Si tratta di convincere qualcuno a cliccare per visitare il tuo profilo e per trovare tutte le informazioni che sta cercando: il sommario, quindi, non può essere una semplice descrizione della propria qualifica aziendale, deve essere un resoconto della tua carriera lavorativa in linea con la tua personalità.

Che tipo di sommario scrivere?

Puoi scriverne uno riproponendo la tua qualifica e l’azienda per cui lavori, aggiungendo qualche keyword o frase per renderlo più appetibile. Oppure puoi osare un po’ di più e utilizzare quei 120 caratteri per proporre qualcosa di creativo e innovativo: un messaggio pubblicitario, per esempio. In questo caso è importante non esagerare: troppa originalità può rivelarsi un boomerang per gli algoritmi di ricerca di LinkedIn. Usare dei caratteri speciali può essere una buona idea per catturare l’attenzione dei recruiter o dei clienti: in ogni caso ricordati di aggiungere keyword relative al tuo settore (un paio possono bastare). Mettere in bella vista il nome dell’azienda per cui lavori non sempre è la scelta ideale: si tratta comunque un’informazione che è facilmente trovare all’interno del tuo profilo di LinkedIn. Se il ruolo che ricopri in azienda è particolare, allora, può avere senso riportarlo anche nel sommario, la stessa cosa se lavori per un brand prestigioso. Da un punto di vista linguistico, ti consiglio di evitare alcune frasi abusate come “motivato” o “responsabile” (sono caratteristiche che un selezionatore del personale si aspetta) e di mettere troppo in evidenza i traguardi che hai raggiunto (i superlativi sono banditi!). Non usare, poi, un linguaggio troppo tecnico. Ricapitolando, per creare il sommario perfetto devi includere una serie di elementi indispensabili: la tua qualifica lavorativa e il nome dell’azienda per cui lavori, il risultato più importante che hai mai raggiunto e una serie di keyword relative al tuo settore (che potrebbero essere già incluse nel tuo titolo). E per distinguerti dalla massa devi descrivere la motivazione che ti ha spinto/spinge a lavorare per la tua azienda o in un certo settore e così via. Se riuscirai a inserire la maggior parte di questi elementi nel tuo sommario, ti assicuro che il tuo profilo LinkedIn ne beneficerà in modo sorprendente. Infine, ti suggerisco questo trucco: se aggiorni il tuo sommario nell’app di LinkedIn su smartphone o tablet, hai a disposizione ben 210 caratteri invece dei soliti 120 disponibili su desktop! Una volta preparato il tuo sommario, ora, puoi tradurlo nella lingua aggiuntiva (o più di una) che hai scelto.

Dopo il sommario devi curare anche il riepilogo in LinkedIn

Un’altra sezione che devi curare attentamente è il riepilogo, che non è altro che una breve descrizione delle tue esperienze lavorative e dei tuoi progetti futuri. Si tratta di scrivere un piccolo riassunto di quello che sai fare, di quello che hai fatto e ottenuto nella tua carriera e di quello che vorresti fare nei prossimi anni e degli obiettivi che vorresti raggiungere. Devi riuscire a mettere in risalto le tue capacità anche con un pizzico di originalità: per farlo puoi usare lo stile che preferisci per trasmettere una buona impressione a tutti quelli che ti cercheranno su LinkedIn. Rispetto al sommario qui il numero delle parole a disposizione è nettamente superiore: con 2.000 caratteri puoi raccontare la tua carriera lavorativa e far capire ai recruiter o ai clienti perché sei un profilo interessante. Uno stile meno formale (ti consiglio di scrivere in prima persona) può aiutarti a creare un rapporto personale con le persone che vogliono mettersi in contatto con te. Come sempre è importante aver chiaro a chi è diretto il tuo messaggio, a chi vuoi rivolgerti: vuoi attirare l’attenzione di un recruiter? Stai puntando a nuovi clienti? Una volta definito il tipo di pubblico a cui vuoi parlare, sfrutta il riepilogo di LinkedIn per spiegare ai tuoi potenziali visitatori quali obiettivi vuoi raggiungere e cosa potresti fare per loro. Essere troppo diretti non sempre è la strada migliore: puoi usare anche degli escamotage (qualche domanda indiretta, per esempio) per stimolare i visitatori a contattarti e a interagire con loro. Se hai il blocco dello scrittore o non hai la minima idea di cosa scrivere puoi prendere spunto anche dagli altri profili con posizioni simili alla tua. Nei casi più disperati, LinkedIn stesso ti viene in soccorso proponendo un riepilogo creato dai suoi algoritmi che tengono conto delle attività lavorative e delle competenze che hai inserito. Una volta creato non ti resta che tradurlo nella lingua che hai scelto.

Ottimizzare le parole chiave nella lingua del tuo profilo

Il tuo profilo viene vivisezionato dallo stesso motore di ricerca di LinkedIn e degli altri search engine presenti in Rete. Per questo motivo è importante aggiungere le keyword relative alla tua professione: ti consiglio di ottimizzarle in inglese in primis, e successivamente nelle eventuali altre lingue.

Programmi per tradurre in un’altra lingua

Se non conosci alla perfezione un idioma puoi sempre usare un programma di traduzione. Attenzione, però: usali come spunto, non limitarti a un mero copia e incolla. Per quanto i traduttori automatici siano migliorati di molto negli ultimi anni, grazie anche all’intelligenza artificiale sui cui si basano, sono ben lungi dall’essere perfetti, e rischieresti di rimediare solo una figuraccia.

Ci sono alcuni servizi gratuiti online e degli ottimi tool disponibili in Rete che puoi sfruttare. Per esempio, con Windows 10 puoi usare Microsoft Translator, un’app per PC e i dispositivi mobile che permette di tradurre i testi scritti e anche il parlato, un’opzione molto interessante per tradurre materiale audio in tempo reale. Un altro programma valido è Qtranslate, un traduttore gratuito per Windows (disponibile anche in versione mobile) che ti consente di tradurre i tuoi testi in modo veloce e intuitivo. Per chi usa un Mac, iTranslate è una scelta più o meno obbligata: questa applicazione a pagamento permette di tradurre un centinaio di lingue in maniera estremamente facile e veloce. Se invece preferisci usare un servizio online, il più apprezzato è senza dubbio Google Traduttore. Oltre a supportare la traduzione di oltre un centinaio di lingue è anche uno dei servizi più affidabili e in continuo miglioramento. Un altro strumento valido per fare delle traduzioni è Bing Translator, un servizio gratuito messo a disposizione da Microsoft che funziona più o meno come il sopracitato Google Traduttore. Un altro servizio online piuttosto valido è Reverso Traduzione  che supporta molteplici lingue e persino la correzione ortografica, e soprattutto ti offre numerosi esempio dell’utilizzo dei termini e delle frasi all’interno di un testo di senso compiuto: ti aiuterà a comprendere meglio in contesto, e soprattutto a tradurre correttamente i termini più tecnici (che a meno di avere un dizionario tecnico possono essere davvero ostici). WordReference, invece, è un sito online pensato per tradurre singole parole e frasi che non sono particolarmente lunghe.

Ripeto ancora, per non dare adito a fraintendimenti: questi strumenti, utilissimi, vanno usati come supporto, quando non riesci a trovare il termine più adatto o quando sei alla ricerca di un sinonimo. Non affidarti troppo a loro. Il sottotesto è semplice: scrivi solo profili in altre lingue che conosci bene. In caso contrario, rischi di rimediare solo figuracce e, soprattutto, di dare meno valore al tuo profilo.

Per trovare un nuovo lavoro o dare una bella svolta alla tua carriera lavorativa avere un profilo in una seconda o terza lingua può davvero aiutarti. La scelta dell’inglese come alternativa all’italiano è pressoché obbligatoria, mentre per aumentare la visibilità del tuo profilo essere partecipi e attivi in un social network come LinkedIn è un altro requisito essenziale. Se hai un’ottima conoscenza dell’inglese o di un’altra lingua, cerca di interagire il più possibile con la rete dei tuoi contatti: puoi essere veramente la svolta per la tua carriera lavorativa!

Vuoi un aiuto per la revisione del tuo profilo LinkedIn?

Contattami per chiedere una revisione del tuo profilo, compresa la mappatura delle keyword che devi inserire.

Cercare lavoro online al tempo degli algoritmi [VIDEOCORSO GRATIS]

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Negli ultimi anni le aziende, soprattutto quelle di medie e grandi dimensioni, hanno iniziato ad utilizzare dei software particolari per snellire la selezione dei candidati, gli Application Tracking System, meglio noti con l’acronimo ATS. Si tratta di programmi che analizzano i Curriculum Vitae alla ricerca di specifiche keyword presenti nell’annuncio. Non sono pensati per sostituirsi ai recruiter, ma per supportarli nella fase iniziale di scrematura, scansionando i profili alla ricerca dei candidati potenzialmente più compatibili col profilo richiesto. In questo video inquadro il tema e propongo due soluzioni, una manuale e una automatica:

  1. Analizzare le offerte di lavoro per estrapolare manualmente le keyword.
  2. Usare uno strumento come Tagcrowd per generare automaticamente una word cloud (nuvola di parole) con le keyword presenti in più annunci di lavori relativi a uno stesso profilo professionale.

Guarda il videocorso gratis (della durata di 12 minuti) qui:

 

Come evitare epic fail sui social con la ricerca inversa delle immagini di Google

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Il 16 ottobre 2021 l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha pubblicato su Facebook questo post per ricordare la notte del Ghetto di Roma:

Apriti cielo: la foto non c’entra nulla con Roma, ma è un’immagine del ghetto di Varsavia. L’epic fail (la figuraccia, in pratica) è virale, nonché bipartisan:

Lo scopo di questo mio articolo è quello di mostrare come sarebbe stato possibile evitare la figuraccia in pochissimi secondi, grazie alla ricerca inversa delle immagini di Google (già citata nell’articolo Come scoprire se una foto è falsa).
Basta fare clic con il tasto destro sulla foto (nell’esempio uso Chrome) e scegliere, dal menu a tendina, “Cerca l’immagine su Google”:

Nei risultati della ricerca si trovano link e foto:

Si seleziona un’immagine per vederne nome e descrizione, o quantomeno il collocamento all’interno di un sito. In questo caso è palese che si tratta di una foto del ghetto di Varsavia.


Uno strumento alternativo per fare la ricerca inversa delle immagini è TinEye (dove tra l’altro si vede al volo che si parla di Warszaw…):

Contattami per un evento sulle fake news

Come scrivere una social media policy aziendale per la comunicazione digitale e i social [esempi]

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Essere sui social network (anche se dovrei dire: “essere social”) e sul Web è fondamentale per qualsiasi azienda o brand: è importante farlo in modo efficace e trovare gli strumenti adatti e stabilire una strategia social mirata. L’immagine di un’azienda è definita dallo stesso brand e anche dagli stessi dipendenti: la comunicazione diventa fondamentale. Per farlo in modo efficace sui vari Facebook, Instagram, Twitter e compagnia bella (persino TikTok e Twitch!) è importante conoscere tutte le funzionalità offerte da queste piattaforme e considerare non solo benefici e vantaggi, ma anche i possibili rischi causati da una pessima gestione mediatica. Per tutelarsi dai cosiddetti danni collaterali, la maggior parte delle aziende presenti sui canali social ha predisposto una “Social Media Policy”: una serie di regole che i dipendenti devono seguire quando utilizzano una di queste piattaforme di comunicazione.

Anche la Camera dei Deputati ha la sua policy pubblica:

Che cos’è una Social Media Policy?

Si tratta di un documento indirizzato al personale della tua azienda in cui vengono stabilite le cosiddette “regole d’ingaggio” per quanto concerne l’uso corretto dei social media (sia internamente, sia esternamente). Dai comportamenti da tenere sul web fino ai commenti o ai post da scrivere, la Social Media Policy non è altro che un prezioso vademecum che aiuterà te e il tuo personale a gestire il delicato rapporto con i clienti in Rete. Di solito le aziende hanno una Social Media Policy interna per regolare la comunicazione tra l’azienda e i suoi stessi dipendenti e una esterna per stabilire il comportamento da tenere con i propri clienti/utenti in Rete.

Per esempio il Pescara Calcio presenta, contrapponendole, da una parte la policy interna e dall’altra quella esterna:

Insomma, un manuale di comportamento con tanto di indicazioni, norme e persino sanzioni da condividere con il personale aziendale: tenere un buon comportamento sui canali social è fondamentale per evitare guai ed errori potenzialmente devastanti per il proprio business.

Come scrivere una Social Media Policy

Scrivere una Social Media Policy è il primo passo che un’azienda deve compiere: è importante regolare la comunicazione tra l’azienda e i suoi dipendenti. Innanzitutto, devi specificare a cosa serve il documento, a chi è rivolto e chi intende tutelare. Una SMP interna, per esempio, deve innanzitutto stabilire e definire in modo chiaro il comportamento che il personale aziendale deve tenere sui social network.

Per un Social Media Manager (o per chi scrive un documento di questo tipo, a volte il responsabile HR) è importante essere chiaro e preciso (deve essere letto e compreso da tutti) nel momento in cui si trova a spiegare un determinato argomento o una particolare norma: è fondamentale specificare cosa ci si aspetta dal proprio dipendente o dal cliente in ogni possibile situazione. Dulcis in fundo, devi ricordare a tutti che il documento che stai redigendo ha valore legale: scrivilo in un linguaggio coerente con quello della tua azienda ed evita l’uso di termini burocratici o estremamente prolissi (vedi il “legalese”).

La prima regola da seguire è far capire ai tuoi dipendenti a cosa serve una “Social Media Policy” interna e quanto sia importante per la tua azienda il rispetto di tali norme comportamentali, onde evitare inconvenienti spiacevoli e possibili problemi. Devi individuare le principali norme di comportamento che i tuoi dipendenti/collaboratori devono osservare nel momento in cui accedono ai social network tramite un account aziendale oppure uno personale, quando si parla direttamente o indirettamente dell’attività svolta o del ruolo ricoperto e così via.

Per esempio, se la tua azienda è presente su tutti i principali social media è importante stabilire in modo chiaro e preciso le priorità e le finalità di ogni canale utilizzato. Se utilizzi Facebook per avere un’interazione migliore con i tuoi clienti/utenti, durante una campagna mediatica vanno stabilite delle norme ad hoc. Se con Twitter gestisci la comunicazione ufficiale della tua azienda hai bisogno di altre regole, idem su un social network come LinkedIn, dove ti trovi a interagire con un pubblico di professionisti e spesso con i dipendenti stessi della tua azienda.

ATM presenta LinkedIn così:

Una finestra rivolta a professionisti e al mercato del lavoro, che vuole dare visibilità alle opportunità di carriera e raccontare l’Azienda a 360 gradi.

Inail parla così di YouTube:

È lo strumento per veicolare i contenuti relativi alla multidimensionalità delle funzioni svolte dall’Inail attraverso la forza comunicativa dell’immagine in movimento, dare visibilità agli eventi, diffondere e supportare le campagne informative, valorizzare l’archivio storico dell’Istituto e i progetti della sala multimediale e sperimentare il live streaming.

Ogni social network va gestito con un’attenta pianificazione e in modo professionale nella consapevolezza che nel web non esiste una vera e propria separazione tra pubblico e privato: un utilizzo scorretto, infatti, può danneggiare anche gravemente l’immagine e la reputazione dell’azienda (e delle persone che ci lavorano).

Una sospensione o una cancellazione del profilo aziendale può avere ripercussioni sulla crescita dell’azienda, mentre l’uso scorretto di materiale tutelato dal copyright o un linguaggio non appropriato possono portare a cause legali con richieste di risarcimento e così via. La tua Social Media Policy deve essere chiara e precisa e, soprattutto, deve tutelare tutti: è responsabilità di tutti i dipendenti rispettarla. È importante incoraggiare i propri dipendenti/collaboratori a essere sempre responsabili, rispettosi e professionali sui social media, indipendentemente da quello che c’è scritto nella policy aziendale.

Va detto, se necessario, anche a cosa NON servono i canali di comunicazione. Ecco l’esempio di Roche:

Effetti indesiderati o eventi avversi relative a prodotti Roche
Gli utenti che ritengono di aver avuto un effetto indesiderato o una reazione dopo l’assunzione di un prodotto Roche, sono invitati a riferirlo immediatamente al proprio medico, a un farmacista o a un altro operatore sanitario.
Vi ricordiamo che questa pagina non è deputata alla segnalazione di eventuali effetti indesiderati e/o eventi avversi.

Lo stesso fa Iren:

Assistenza clienti

Attualmente i canali social non possono essere considerati canali di assistenza paragonabili ai contact center del Servizio Clienti del Gruppo.

Eventuali richieste ricevute attraverso i diversi sistemi di messaggistica integrata delle rispettive piattaforme, saranno reindirizzate ai canali opportuni di contatto.

Le 5W della Social Media Policy: l’esempio del Comune di Monza

Il Comune di Monza ha pubblicato online in PDF la sua social media policy. Vi si trova anche un paragrafo dove, usando la tecnica delle 5 W del giornalismo, racconta il team che gestisce i social:

  • CHI è il social media manager
  • COME: quali sono le regole
  • COSA: i contenuti
  • QUANDO: gli orari del social media team
  • DOVE: la sede di lavoro del team

Vi si trovano anche delle tabelle molto chiare. Questa, per esempio, riguarda i temi da trattare (e da non trattare!) online:

Cosa fare o non fare sui social network

È sempre importante specificare in modo chiaro cosa fare o non fare su un canale social: per esempio, è possibile mettere un “mi piace” a un prodotto o condividere un articolo di un sito? Devi stabilire quali azioni i tuoi dipendenti e collaboratori possono fare: per esempio possono pubblicare una foto scattata in ufficio? Possono commentare un prodotto/servizio aziendale e in che modo? Molto frequente: i dipendenti, per esempio i commerciali, possono parlare dei clienti, per esempio raccontando casi di successo?

Prepara una lista delle cose che possono fare in Rete e sulle piattaforme social che utilizzano e cerca di far capire loro quanto sia importante rispettare certe regole per il bene dell’azienda e per la loro stessa carriera. Rendere “partecipi” i tuoi dipendenti è una delle chiavi per una buona “Social Media Policy” interna: avere dei “brand ambassador” può aiutarti in questo processo.

Per quanto riguarda i comportamenti da evitare in Rete, devi stabilire anche qui una serie di normative precise che il tuo personale deve seguire. Qualcuno ha postato una fake news sulla tua azienda o una serie di commenti negativi su un tuo prodotto: come si devono comportare i tuoi collaboratori? C’è stato un uso improprio del materiale aziendale, che cosa devono fare i tuoi dipendenti?

Se gestisci un account aziendale devi tenere sempre un comportamento corretto, professionale ed empatico con i tuoi utenti/clienti: è importante avere un atteggiamento positivo, saper ascoltare critiche e commenti negativi e, soprattutto, dare risposte in tempi rapidi rispettando la modalità previste dalla social media policy interna. E, soprattutto, devi evitare litigi e non rispondere mai alle provocazioni.

La pubblicazione dei contenuti

Un altro aspetto che devi considerare riguarda la pubblicazione di contenuti e materiale di vario (foto, video, testi e altro) che devono rispondere a una serie di criteri prestabiliti. Questo vale per la pubblicazione di una semplice notizia o per un link a una pagina istituzionale e così via. Chi pubblica un qualsiasi tipo di contenuto deve farlo nel completo rispetto delle norme che regolano la privacy e il trattamento dei dati personali, deve verificare che non ci siano materiali aziendali o informazioni sensibili o che violino le leggi che regolano il copyright. Quindi, prima di pubblicare qualsiasi cosa su un canale istituzionale e privato, ricordati di verificare che i tuoi contenuti siano inattaccabili. Nel dubbio è meglio non pubblicare nulla: richiedi il parere di un social media manager nella tua azienda.

Per esempio nella sua Social Media Policy l’azienda Fenzi specifica:

Con la produzione e pubblicazione dei contenuti FENZI SPA promuove sui propri canali social contenuti testuali, fotografici e video, che nel momento della pubblicazione devono rispondere sempre a tutti i seguenti criteri:

  • diffusione di novità relative a progetti, eventi, servizi dell’azienda di concreta utilità per il target;
  • attualità della notizia a cui il contenuto social deve riferirsi, con testi e/o immagini che ne testimonino o l’accadere in tempo reale (es. un convegno, una conferenza stampa, una fiera, ecc.) o il realizzarsi in breve tempo (una scadenza, il lancio di un nuovo prodotto);
  • link a pagine del sito istituzionale o, dove esistenti, ai siti di progetto, dove si fa riferimento o si approfondisce il contenuto.

Il linguaggio

Il linguaggio che utilizzi deve essere contestualizzato allo stile del social network utilizzato. È ormai assodato che le dinamiche linguistiche utilizzate nei canali social sono diverse da quelle usate nei contesti reali, mentre l’abuso di neologismi è ormai una consuetudine. Ogni piattaforma è diversa e funziona in una determinata maniera e ha un proprio pubblico di riferimento: per ottenere dei buoni risultati devi prestare attenzione ad alcune cose e, soprattutto, ai dettagli. Per esempio, Twitter è uno strumento apprezzatissimo per la comunicazione aziendale (viene considerato l’agenzia stampa del mondo digitale) e per cinguettare al massimo devi sfruttare gli hashtag “#”, “concentrare” i tuoi messaggi in pochi caratteri (dai 140 caratteri degli inizi si è arrivati ai 280 attuali) e farli circolare velocemente. LinkedIn, invece, è la piattaforma professionale per eccellenza ed è stata sviluppata appositamente per permettere ai professionisti del settore di interagire tra di loro.

Quando pubblichi un contenuto per questo canale social ricordati di utilizzare un linguaggio professionale e serio. Una comunicazione sobria ti può aiutare a mettere in evidenza le competenze/qualità della tua azienda e ad ampliare la tua rete dei tuoi contatti e altro ancora. Con Facebook è richiesto uno stile più vicino al pubblico e un linguaggio semplice e “informale”. Un tono troppo confidenziale potrebbe essere persino eccessivo, soprattutto ora che il colosso di Menlo Park si sta orientando sempre di più verso il business mettendosi in competizione diretta con leader indiscusso del settore, sua maestà LinkedIn. Con Instagram invece devi puntare sui i contenuti “personali”, chiaramente accompagnati da un uso sapiente delle immagini e dei video e soprattutto degli hashtag. Con le “Instagram Stories”, infatti, la comunicazione è stata rivoluzionata ancora una volta e sarà più facile per te condividere la quotidianità in ufficio o in azienda.

Come utilizzare un account privato

Il dipendente/collaboratore è tenuto a rispettare le norme di comportamento previste nella policy interna, anche quando utilizza un account privato sui social media. Nel caso decidesse di rendere nota la propria attività lavorativa, il dipendente deve necessariamente specificare la qualifica rivestita all’interno dell’azienda (citando anche l’account istituzionale se disponibile) e ribadire che “le opinioni espresse hanno carattere personale”. In questo modo viene tutelata l’azienda e le persone che ci lavorano.

Chiaramente ogni dipendente può (dovrebbe!) condividere sui propri profili privati il materiale e i contenuti pubblicati sul sito istituzionale dell’azienda. Non può invece divulgare informazioni riservate della propria azienda o di terze parti e altro ancora.

Quando usa il proprio account privato deve evitare di diffondere messaggi minatori o ingiuriosi, commenti e dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti della propria società o di alcuni membri. È tenuto a rispettare la privacy dei propri colleghi e a non divulgare foto, video o altro materiale multimediale senza l’esplicita autorizzazione dell’azienda e delle persone coinvolte.

Senza autorizzazione preventiva non può aprire blog, pagine o altri canali a nome della propria società o che trattino argomenti riferiti all’attività lavorativa svolta. È importante ribadire ancora una volta che i propri contenuti – anche se privati – una volta messi in Rete hanno una cassa di risonanza incredibile, e un semplice post può infatti raggiungere un numero elevato di persone attraverso retweet, commenti e like, alimentando il reato di diffamazione. Per risolvere la questione, puoi far inserire un apposito “disclaimer” nel profilo dei tuoi dipendenti per rendere più semplice la differenziazione tra un account personale e quello lavorativo.

La nota multinazionale fast food Mc Donald’s ha messo online la propria Social Media Policy. Riporto qui la parte che riguarda l’uso dei canali social personali:

Si invita i dipendenti a essere consapevoli dei seguenti aspetti quando utilizzano i Social Media, anche ad uso personale ma in situazioni in cui viene specificamente indicato il marchio McDonald’s :

  • Tutto ciò che viene pubblicato su internet può essere letto da manager, colleghi, partner commerciali, giornalisti, concorrenti, fornitori e dal pubblico in generale.
  • Invitiamo i dipendenti a pensare a quello che stanno scrivendo nello stesso modo in cui lo farebbero per comunicare con le persone che non conoscono personalmente.
  • In particolare, occorre tenere conto delle seguenti linee guida:
    • Non devono essere scaricate e/o pubblicate immagini offensive o inappropriate.
    • Non devono essere scaricati e/o pubblicati commenti offensivi o inappropriati.
    • Non devono essere pubblicati commenti offensivi o inappropriati su colleghi o clienti.
    • Ogni informazione che possa violare qualunque delle azioni e delle procedure di McDonald’s, non deve essere pubblicata.
    • Non si deve fare alcun riferimento a qualsiasi affiliazione a organizzazioni politiche.
  • Le informazioni riservate (informazioni finanziarie, lancio nuovi prodotti, attività di business in genere) o proprietarie di McDonald’s non devono mai essere divulgate. I termini e le condizioni applicabili ai dipendenti di McDonald’s già vietano questo in generale, e internet non fa eccezione a questa regola.
  • Qualora l’uso di canali di Social Media sia insito nel ruolo lavorativo del dipendente, l’uso personale dei Social Media deve avvenire esclusivamente nel suo tempo libero e non deve includere l’uso dell’indirizzo e-mail aziendale di McDonald’s (qualora il dipendente ne abbia uno).
  • I dipendenti non devono mai accedere né utilizzare qualsiasi sito web o servizio riprovevole o illegale utilizzando i dispositivi messi a disposizione da McDonald’s. L’Ufficio IT ha individuato i siti web cui il nostro sistema non permetterà l’accesso. Qualsiasi tentativo di accesso ai siti proibiti dal sistema è bloccato e l’utente riceverà un messaggio all’interno del browser che conferma che l’accesso è precluso. I dipendenti devono essere consapevoli che le pubblicazioni personali nei canali di Social Media possono restare visibili per tutti negli anni a venire.
  • Ai dipendenti è severamente vietato utilizzare i loghi e/o i marchi di McDonald’s in qualsiasi situazione personale senza la preventiva autorizzazione scritta da parte del team legale di McDonald’s.

L’uso dei sistemi di messaggistica istantanea

I sistemi di messaggistica  (WhatsApp, Telegram, Signal, Facebook Messenger solo per citare i più utilizzati) stanno diventando delle vere e proprie chat lavorative vale lo stesso discorso dei social network. Anche qui è importante trovare l’equilibrio tra l’utilizzo per motivi di lavoro e quello per scopo privati, soprattutto durante l’orario lavorativo.

È importante ricordare nella Social Media Policy interna che i messaggi scambiati in WhatsApp sono equiparabili a prove documentali e sono moltissimi i casi in cui le chat testuali o vocali usate nell’app di messaggistica di proprietà di Facebook sono state usate come prova in tribunale. Per questo motivo devi adottare una social media policy dettagliata per fornire al tuo dipendente tutte le informazioni su “cosa potrà fare e non fare” con l’account aziendale/privato, quali immagini condividere, quali amici aggiungere, come utilizzare i social network durante l’orario di lavoro e altro ancora.

L’importanza del “Tone of voice”

Quando rappresenti la tua azienda sui canali social è importante scrivere correttamente, rispettando tutte le regole ortografiche, morfologiche, sintattiche e fonetiche previste dalla grammatica italiana. Tra acronimi, sigle, neologismi e un uso smodato della terminologia inglese spesso è una missione impossibile…

Un altro aspetto da definire è il cosiddetto “Tone of voice” che si vuole dare alla comunicazione: lavorare nella pubblica amministrazione richiede un approccio di un certo tipo, nel settore privato un altro. Il dipendente si deve riconoscere nell’azienda/brand per cui lavora: quindi, oltre a scrivere in un italiano corretto e comprensivo devi scegliere uno stile/forma che rispecchi e sia coerente con quello tenuto finora dalla comunicazione della tua azienda.

Quindi, scegli uno stile che sia efficace e al tempo stesso efficace e che sia soprattutto chiaro. Il requisito essenziale di una buona social media policy è la chiarezza: deve essere facilmente comprensibile e memorizzabile e fugare ogni possibile dubbio, soprattutto per quanto riguarda il capitolo “sanzioni e provvedimenti”. Stabilire delle linee guida con quello che si può o non può fare è un’ottima base di partenza, così come avere un glossario o un’infografica/video in cui illustrare quali sono i social attivi nella tua azienda e altro ancora. Prima di far leggere a tutti i dipendenti la social media policy che hai scritto è consigliabile sottoporla al parere dell’ufficio legale, marketing, risorse umane e le altre istituzioni presenti nella tua azienda. Tutelare gli interessi del personale aziendale è fondamentale. Una volta ottenuto il benestare di tutte le parti in causa, puoi far leggere a tutti i dipendenti la social media policy che hai preparato.

Un esempio di Social Media Policy interna (PDF)

Unioncamere Emilia Romagna ha reso disponibile sul proprio sito il PDF della sua Social Media Policy interna. Eccolo:

Esempio_SOCIAL_MEDIA_POLICY_INTERNA_UnioncamereER.pdf

La video Social Media Policy di Xerox

Xerox ha caricato un video sul suo canale Youtube presentandolo così:

Se sei un dipendente o un terzista Xerox che pubblica notizie o informazioni su Xerox correlate al proprio lavoro su blog, forum, social network o qualunque altro genere di social media, queste linee guida sono per te. Queste linee guida si applicano inoltre a singoli consulenti e ad agenzie terze che lavorano per o a nome di Xerox.

Ecco il video (in inglese con sottotitoli in italiano):

Perché scrivere una Social Media Policy Esterna?

Oltre a scrivere una Social Media Policy interna devi prepararne una esterna per regolamentare il rapporto con la clientela e la community. Con lo sviluppo dei social media molti utenti comunicano con le aziende attraverso i loro canali, per qualsiasi tipo di esigenza. La social media policy esterna è fondamentale per regolamentare il rapporto fra gli utenti e chi gestisce le piattaforme social dell’azienda. Si tratta di una relazione delicata perché coinvolge direttamente il nome dell’azienda e la credibilità stessa e del proprio marchio (la cosiddetta “brand reputation”). Una Social Media Policy deve stabilire le modalità di comunicazione con gli utenti (dal trattamento dei dati personali fino all’attività di moderazione e così via), cosa fare in caso di diffusione di informazioni sensibili per l’azienda, commenti negativi, hashtag, post e video creati dagli utenti e altro ancora.

Come scrivere una Social Media Policy Esterna

Tendenzialmente vale lo stesso discorso fatto in precedenza con la preparazione di una Social Media Policy interna. Quindi, specifica a cosa serve il documento, a chi si rivolge e chi vuole tutelare. Per ogni piattaforma social utilizzata è importante definire il modus operandi: spiega in modo chiaro a cosa serve avere un account ufficiale e a cosa non serve. Una volta definito il ruolo e le finalità della nostra pagina/account social devi stabilire una serie di norme/regole comportamentali che gli utenti devono rispettare. Dai comportamenti non tollerati fino ai commenti inappropriati o alla promozione di attività illegali, tutto deve essere regolamentato per evitare spiacevoli sorprese o eventuali strascichi legali. Cerca di essere il più chiaro possibile e di fornire degli esempi esplicativi su quello che è accettato/tollerato e quello che non lo è.

Per esempio nella social media policy di The Math House si legge:

In particolare, verranno rimossi i contenuti:

  • politici o di propaganda elettorale;
  • spam, che promuovano attività commerciali e a fini di lucro;
  • che presentino un linguaggio inappropriato, violento, minaccioso, volgare, ingannevole o in violazione dei diritti di terzi;
  • discriminatori per genere, razza, etnia, lingua, credo religioso, opinioni politiche, orientamento sessuale, età, condizioni personali e sociali, disabilità fisica o mentale;
  • illeciti o che incitino, promuovano e sostengano attività illecite;
  • che divulghino dati e informazioni personali o che possano ledere la privacy e la reputazione di terzi;
  • che contengono dati sensibili;
  • di carattere osceno, pornografico o pedopornografico o che offendano la morale comune;
  • che violino il copyright o che usino impropriamente un marchio registrato;
  • che compromettano la sicurezza nazionale o dei sistemi pubblici.

Elenca le possibili sanzioni per chi non rispetta le regole, soprattutto in caso di comportamenti illegali. Stabilire delle sanzioni è un modo piuttosto semplice per conferire autorevolezza alla tua Social Media Policy esterna o interna che sia.

Il Ministero dello sviluppo economico specifica che cosa si intende per moderazione e che cosa accade quando non si rispetta la policy esterna:

La moderazione da parte dell’amministrazione all’interno dei propri spazi avviene a posteriori, ovvero in un momento successivo alla pubblicazione, ed è finalizzata, unicamente, al contenimento di eventuali comportamenti contrari alle norme d’uso: tutti hanno il diritto di intervenire ed esprimere la propria libera opinione in quanto nei canali social del Ministero non è prevista alcuna moderazione preventiva.

Nei casi più gravi – e in modo particolare in caso di mancato rispetto delle regole condivise in questo documento – il Ministero si riserva la possibilità di cancellare i contenuti, allontanare gli utenti dai propri spazi e segnalarli ai filtri di moderazione del social network ospitante ovvero, nello specifico, saranno rimossi commenti e post che violino le condizioni esposte in questo documento.

Se i dipendenti/collaboratori utilizzano la strumentazione informatica dell’azienda è importante stabilire anche un codice di comportamento ad hoc, con le relative sanzioni disciplinari in caso di mancata ottemperanza dei divieti. Una volta preparato il documento ricordati di sottoporlo all’ufficio legale della tua azienda (o a quello di un esterno) e agli altri uffici interessati (marketing, risorse umane e altro) per poter essere approvato e diffuso a tutto il personale lavorativo.

A proposito di tutela legale, spesso si fa riferimento anche alla privacy. Così Trenord:

PROTEZIONE DATI PERSONALI

Si ricorda che il trattamento dei dati personali degli utenti risponde alle policy in uso sulle piattaforme utilizzate (Twitter, YouTube, Instagram e LinkedIn).

Si rammenta che i dati sensibili postati in commenti o post pubblici all’interno dei canali social di Trenord verranno rimossi. I dati condivisi dagli utenti attraverso messaggi privati, spediti direttamente ai canali di Trenord, saranno trattati nel rispetto della normativa di legge di tempo in tempo vigente ed applicabile in materia di trattamento dei dati personali.

L’Informativa Privacy di Trenord è consultabile sul sito internet di Trenord, che qui si richiama integralmente ed a cui si rinvia.

Come far rispettare le Social Media Policy

Per controllare ogni possibile violazione alla Social Media Policy aziendale è necessario avere una struttura o del personale preposto per questo compito. L’azienda deve essere in grado di monitorare il comportamento dei propri dipendenti che utilizzano i canali social. Controllare l’attività su tutte le piattaforme social utilizzate dall’azienda di tutti i soggetti coinvolti (compresi gli account personali) richiede una struttura ben organizzata e oliata. Avere sanzioni disciplinari/pecuniarie senza che nessuno possa farle rispettare non serve a nulla. È importante che la Social Media Policy sia facilmente consultabile dai dipendenti/collaborati: preparare una versione riassuntiva o in stile FAQ può essere di grande aiuto.

Il mondo dei social media è in costante evoluzione. Di conseguenza anche la Social Media Policy che hai preparato rischia di diventare obsoleta nel giro di pochi mesi. Senza tener conto dei possibili cambiamenti aziendali per quanto riguarda le strategie di comunicazione e marketing: quindi, aggiorna e controlla regolarmente la tua Social Media Policy su ogni canale social utilizzato dalla azienda. Ricordati che una Social Media Policy ben fatta e aggiornata stimola gli impiegati a utilizzare in modo responsabile i canali social. Un dipendente o collaboratore deve sempre prestare attenzione alla Social Media Policy: deve conoscere le regole della Privacy, deve sapere postare su una piattaforma sociale e cosa può far vedere agli amici o ai famigliari e così via.

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LinkedIn: come esportare gli analytics

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Come tutti i social network, anche LinkedIn ha i suoi analytics, le metriche relative alle pagine aperte sulla piattaforma. La maggior parte delle persone tende a soffermarsi solo sui dati più semplici, fondamentalmente il numero di follower e le visualizzazioni/like sui contenuti condivisi. Sono parametri importanti, naturalmente, che offrono velocemente uno spaccato dell’andamento della pagina, ma rappresentano solo una parte di tutti i dati raccolti dal social e messi a disposizione dei suoi utenti. Di seguito, ti spiegherò come sfruttare al meglio le informazioni raccolte dal social relative alla tua pagina per capire come migliorare l’efficacia della tua attività su LinkedIn.

Dove sono i dati relativi alla mia pagina?

Per visualizzare gli analytics della tua pagina aziendale su LinkedIn devi essere un amministratore o quantomeno un analista. Se sei il titolare dell’azienda, probabilmente sarai anche amministratore della pagina, che probabilmente avrai creato tu, ma non è raro che queste attività vengano delegate a professionisti o agenzie esterne (ma anche a figure interne), e non è detto che ti abbiano inserito fra gli amministratori. Se è così, devi sapere che il fatto che tu non sia amministratore non è un gesto di sgarbo o il desiderio di tenerti nascoste le informazioni: molto spesso i proprietari delle imprese non hanno interesse a seguire direttamente questi canali e quindi non si preoccupano di essere inseriti come admin. Allo stesso tempo, non è raro che gli esperti di social evitino – se non quando richiesto esplicitamente – di rendere amministratori i responsabili delle aziende stesse: se questi non sono competenti, infatti possono facilmente fare degli errori, spesso postando dal profilo aziendale invece che da quello personale o viceversa. Naturalmente, se chiederai di essere reso amministratore nessuno potrà negartelo: la pagina è tua, del resto.

Per gestire la tua pagina LinkedIn aziendale basta connetterti al tuo profilo personale: nella colonna di sinistra troverai la sezione Le mie Pagine, dove sono raccolte tutte le pagine LinkedIn che sei autorizzato a gestire. Cliccaci sopra per andare nella sezione di amministratore. Per avere accesso agli analytics, basta che clicchi sulla voce Analisi, dove saranno indicate quattro metriche: Visitatori, Aggiornamenti, Follower ed Employee Advocacy.

Visitatori

In questa sezione troverai tutte le informazioni relative a chi ha visitato la tua pagina LinkedIn, nello specifico:

  • il numero visualizzazioni della pagina: fondamentalmente, quanti clic sono stati fatti sulla pagina (non sui singoli post, attenzione);
  • il numero di visitatori unici: questo parametro è ovviamente differente dal numero di visualizzazioni, dato che una persona potrebbe aver guardato la tua pagina più volte nel periodo di tempo selezionato;
  • i clic sul pulsante personalizzato, che fondamentalmente può assumere 4 valori (Visita sito web, Iscriviti, Registrati, Contattaci, Scopri di più).

Più sotto troverai un grafico molto intuitivo che ti darà le statistiche sui visitatori nel periodo selezionato. Potrai ampliare il periodo di riferimento (quello predefinito è di 15 giorni) e avere ulteriori dettagli, per esempio vedere i dati delle singole sezioni della pagina stessa: la home, informazioni, informazioni dettagliate e persone.

Potrai modificare con un clic la visualizzazione fra visitatori totali e visitatori unici, e aggregare i dati. L’impostazione predefinita di LinkedIn, infatti, è quella di mostrare i dati separati fra mobile e desktop, ma basta la pressione di un tasto per aggregarli in un unico grafico.

Andando più sotto, poi, potrai avere accesso ai dati demografici del tuo pubblico, ovviamente ben differenti da quelli di altre piattaforme, dato che LinkedIn è destinata al business, non certo agli influncer. Ecco che il dato principale è dunque quello delle funzioni lavorative di chi ti ha visitato (vendite, marketing, HR, amministrazione, operations e via dicendo), un dato estremamente importante per capire velocemente che tipo di figure aziendali hanno mostrato interesse. Puoi comunque avere informazioni sulla località (inclusa la provincia, nel caso dei visitatori italiani), l’anzianità lavorativa dei tuoi visitatori (che non è detto corrisponda all’anzianità demografica, anzi), il settore in cui operano e le dimensioni dell’azienda per cui lavorano, intesa come numero di dipendenti.

Aggiornamenti

Se selezioni la metrica Aggiornamenti al posto di Visitatori, avrai accesso ai dati relativi alla visualizzazione dei post pubblicati sulla tua pagina aziendale. Ovviamente, cambiano le metriche: qui verranno indicate le reazioni (like ed equivalenti), il numero di commenti ai post e di condivisioni.

Potrai poi esplorare più nel dettaglio tutti questi dati nella sezione “Statistica”. I dati riportati sono relativi a tutti i post pubblicati nel periodo preso in esame, ma potrai avere informazioni dettagliate su ognuno scrollando più in basso, dove sarà proposta la lista con tutte le metriche relative a ogni singolo parametro. Anche in questo caso i dati verranno separati da due colori: in blu i dati organici e in rosso quelli relativi alle sponsorizzazioni. Volendo, potrai aggregarli.

Follower

Come suggerisce il nome, ti indica quanti nuovi follower ha acquisito la pagina e quanti ne ha persi. Scrollando in basso ti verranno proposti gli ultimi che si sono aggiunti, e ancora più sotto potrai avere informazioni praticamente equivalenti a quelle che abbiamo isto prima nella sezione Visitatori, quindi la funzione lavorativa, il settore di appartenenza, la seniority e via dicendo.

Molto interessante la sezione più in basso, dove LinkedIn ti suggerisce una serie di aziende affini alla tua da monitorare, così da avere un termine di paragone con realtà che operano nel tuo stesso ambito, sulla base dei follower.

Employee Advocacy

Questa sezione è estremamente utile se voi fare employee branding, cioè sfruttare l’attività dei tuoi dipendenti e collaboratori per potenziare l’impatto della tua attività di comunicazione su LinkedIn. Fondamentalmente, potrai misurare l’impatto delle condivisioni dei post aziendali fra i tuoi dipendenti.

A questo indirizzo, potrai trovare ulteriori informazioni proposte da LinkedIn.

Come esportare i dati?

I dati raccolti da LinkedIn sono utilissimi e presentati in maniera semplice e intuitiva, ma quando le dimensioni della pagina iniziano a crescere e, soprattutto, intendi visualizzare i dati di più di un anno, o confrontarli con quelli provenienti da altre fonti (altri social network, quelli del suo sito e via dicendo), è più comodo esportarli in un formato più comodo, così da poterli analizzare tramite altri software.

Esportarli è estremamente semplice:

  • seleziona la metrica che ti interessa (Visitatori, Aggiornamenti, Follower, Employee Advocacy)
  • Clicca sul blu tasto Esporta, sulla destra
  • Seleziona l’intervallo di tempo
  • Clicca su Esporta

In pochi istanti, verrà scaricato un file .XLS contenente tutte queste informazioni, che potrai aprire con Excel o equivalente, o importare nei software che usi per le analisi.

Cosa posso fare con i dati esportati?

Una volta esportati i dati in formato XLS potrai aprirli con un figlio di calcolo, così da poterli analizzare con strumenti più potenti: potrai fare semplicemente grafici di ogni tipo sulla base di quelle informazioni, e gestire con più semplicità la tua reportistica. Soprattutto, potrai analizzare i differenti valori tenendo tutto sullo stesso foglio, senza dover aprire differenti finestre di LinkedIn e affiancarle per avere una visione di insieme.

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