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Il Brand Activism spiegato in 5 esempi

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Il tempo passa, cambiano le abitudini. Non c’è solo la pandemia a preoccupare: l’emergenza climatica, il riscaldamento globale, le discriminazioni sono alcuni dei problemi che affliggono la nostra società, composta più da consumatori che da esseri umani.

In un mondo in cui i media tendono a celebrare “solo” quei personaggi che ce l’hanno fatta o quei brand che sono diventati iconici, i più giovani sono diventati i principali promotori di un cambiamento per salvare non solo il pianeta ma l’intera società. Dopo aver richiesto a gran voce non solo a politici, banchieri, economisti e ad altre figure di primo piano del panorama mondiale di assumere una posizione netta per risolvere i problemi più sentiti, i ragazzi e le ragazze appartenenti alla generazione dei “Millennials” o a quella successiva della “Gen Z” hanno rivolto la loro attenzione ad aziende e imprese.

Il voto col portafoglio, per esempio, è un termine coniato da: Leonardo Becchetti (Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”) per premiare o, viceversa, punire, aziende e nazioni responsabili (o irresponsabili) dal punto di vista sociale e ambientale. Perché la “dichiarazione del purpose” ai ragazzi e alle ragazze di questa generazione ormai non basta più: è necessario passare all’azione. Infatti, nel processo decisionale che porta all’acquisto, le nuove generazioni prestano attenzione ad altri fattori come i valori e la possibilità di riconoscersi in un brand piuttosto che la qualità del prodotto/servizio oppure il suo costo. Le aziende/brand che prendono posizione sono apprezzatissime dai Millenials o dai Gen Z.

È cambiata la percezione del brand

Se fino a qualche anno fa le aziende creavano valore semplicemente sfruttando le risorse interne, negli ultimi tempi c’è stato un cambio di paradigma: le stesse società (più specificatamente i brand) hanno stravolto completamente il loro approccio e hanno iniziato a utilizzare prodotti e servizi per trasmettere messaggi di carattere politico, sociale e culturale.

Il brand stesso è diventato qualcosa di più di una semplice marca: si è trasformato nell’espressione di quei valori che sintetizzano la visione aziendale e che sono parte integrante della strategia di comunicazione. Azienda e brand diventano così i promotori di un modello di business in cui il raggiungimento degli obiettivi economici è correlato o subordinato all’impegno stesso degli stessi soggetti in cause di rilevanza sociale, politica e ambientale: il famoso “brand activism”.

La nascita del brand activism

Contrariamente a quello che si può pensare, il brand activism è un fenomeno piuttosto recente: il libro “Dal purpose all’azione” scritto da Philip Kotler e Christian Sarkar è quello che è possibile considerare come il manifesto/testo di riferimento di questo modello di business. In base alla definizione data dai due autori, il brand activism non è altro che

La strategia (o le strategie) attraverso cui un’azienda si fa promotrice di una causa.

Oltre a stravolgere la visione stessa dell’azienda, questo modello punta a stravolgere anche il processo decisionale dei clienti nella fase di acquisto. Il brand activism può essere di due tipi, progressivo o regressivo.

Nel primo caso, le aziende/imprese si fanno carico del cosiddetto benessere collettivo impegnandosi in una serie di “cause” sociali: è una strategia che viene utilizzata soprattutto per migliorare la reputazione di un brand, soprattutto se operano in certi settori.

Nel secondo caso, invece, le aziende puntano a massificare il profitto e a minimizzare gli effetti negativi dei propri prodotti su temi come la salute o l’ambiente: l’industria del tabacco è il classico esempio (basta ripensare ad alcune celebri campagne pubblicitarie del passato).

Un altro aspetto che è importante considerare è l’ambito in cui viene svolto/proposto il brand activism. Il campo sociale, per esempio, viene utilizzato spesso dalle aziende, così come quello economico e politico. Negli ultimi anni, le tematiche ambientali hanno conquistato il cuore di molti prestigiosi marchi: il brand activism, però, può essere utilizzato anche per questione organizzative lavorative o per politiche interne. Se i più giovani  tendono ad apprezzare quelle aziende capaci di prendere una posizione netta su questioni di carattere politico/sociale, gli adulti paradossalmente sembrano credere meno nell’importanza del brand activism.

Il brand activism funziona davvero?

A questo punto ti starai sicuramente chiedendo se il brand activism sia davvero efficace. Quando il consumatore acquista un prodotto o un servizio cerca qualcosa che rispecchi e incarni i valori in cui crede: con l’acquisto chiede anche all’azienda di agire, di diventare parte attiva del cambiamento e di farsi carico dei problemi sociali. Durante la pandemia, infatti, il brand activism è letteralmente esploso: l’emergenza sanitaria ha spinto molte aziende e marchi prestigiosi a dare “quel” qualcosa in più per migliorare la società. Per farti capire come funziona il brand activism, eccoti una serie di esempi, alcuni più clamorosi (vedi Nike) altri molto più vicini a noi.

Nike contro le discriminazioni

Il colosso dell’abbigliamento sportivo di Beaverton non è nuovo a campagne di questo tipo. Per esempio, nel 2018 aveva firmato come testimonial nientepopodimeno che l’ex quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick, messo letteralmente al bando dall’intera lega NFL per essersi inginocchiato durante la celebrazione dell’inno nazionale durante le partite. Con questo gesto il giocatore cercò di sensibilizzare l’opinione pubblica statunitense sull’oppressione degli afroamericani e delle minoranze etniche. Questo è un perfetto esempio di brand activism: Nike lo ha preso come testimonial della campagna “Believe in something, even if it means sacrificing everything” (credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto il resto) con tanto di “Just Do It” piazzato nei cartelloni pubblicitari. E sempre in tema di discriminazione razziale, la multinazionale americana ha recentemente cambiato in una campagna pubblicitaria il suo iconico slogan “Just Do It” in “For Once, Don’t Do It” (per una volta, non farlo).

Diesel in favore della sostenibilità ambientale

Un altro esempio di bran activism può essere la campagna realizzata da Diesel in piena pandemia. Con “Diesel for Responsible Living” il messaggio dell’azienda di Renzo Rosso è stato chiaro e in linea con le aspettative delle nuove generazioni che richiedono una presa di posizione netta in favore della sostenibilità ambientale ed economica per avere un futuro migliore. Considerando che Diesel si è sempre distinta per l’innata capacità di rompere i soliti schemi, il brand activism in questo specifico contesto funziona ed è credibile.

Loop, l’economia circolare è una necessità

Ogni anno lo spreco alimentare riguarda oltre un terzo del cibo prodotto nel nostro pianeta. Sprecare cibo equivale a sprecare anche le risorse usate per produrlo (terra, energia e acqua), senza dimenticare un aumento nella produzione dei rifiuti alimentari e un incremento nelle emissioni di gas serra. Lo spreco non riguarda solo il consumatore finale ma l’intera filiera produttiva.

Per limitare questo spreco, Loop ha puntato sulla realizzazione di packaging riutilizzabili. Il nome dell’azienda/brand è una certezza: il termine “loop”, infatti, viene utilizzato per indicare un processo continuo e circolare. Il cliente utilizza il prodotto e Loop si occupa di riprenderlo e di predisporlo al riuso. Sono numerosi i brand che hanno aderito a questa iniziativa: si parla di colossi del calibro di Nestlé, Carrefour, Tesco, PepsiCo, Coca-Cola e altri ancora.

Refurbed, l’azienda che rigenera i device elettronici per salvare il pianeta

Il mercato dei dispositivi ricondizionati è in continua evoluzione e si sta ingrandendo velocemente. Il processo produttivo degli smartphone è dannoso per l’ambiente: quindi, quando si acquista un prodotto rigenerato si salvaguardia il pianeta.

Refurbed è una piattaforma che si occupa di rigenerare e rivendere dispositivi elettronici. Oltre a garantire un significativo risparmio, Refurbed per ogni prodotto venduto pianta un albero in un paese a scelta del cliente.

Oberalp, l’azienda che rispetta la montagna

Specializzata nella produzione di abbigliamento e attrezzature alpine, Oberalp è un’azienda altoatesina che punta forte sulla sostenibilità ambientale. Perché essere ambientalisti significa anche scegliere materiali sostenibili e limitare inquinamento e sprechi. Riciclando della lana Oberalp, per esempio, crea delle giacche, mentre i residui delle lavorazioni tessili diventano magliette, guanti e altri capi di abbigliamento. Oltre a trasformare i rifiuti in oggetti di design (grazie al supporto dell’Università di Bologna), l’azienda di Bolzano ha limitato nella produzione l’utilizzo dei perfluorocarburi (si parla di 65%). In questo video si parla anche di work-life balance dei dipendenti:

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