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Come evitare epic fail sui social con la ricerca inversa delle immagini di Google

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Il 16 ottobre 2021 l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha pubblicato su Facebook questo post per ricordare la notte del Ghetto di Roma:

Apriti cielo: la foto non c’entra nulla con Roma, ma è un’immagine del ghetto di Varsavia. L’epic fail (la figuraccia, in pratica) è virale, nonché bipartisan:

Lo scopo di questo mio articolo è quello di mostrare come sarebbe stato possibile evitare la figuraccia in pochissimi secondi, grazie alla ricerca inversa delle immagini di Google (già citata nell’articolo Come scoprire se una foto è falsa).
Basta fare clic con il tasto destro sulla foto (nell’esempio uso Chrome) e scegliere, dal menu a tendina, “Cerca l’immagine su Google”:

Nei risultati della ricerca si trovano link e foto:

Si seleziona un’immagine per vederne nome e descrizione, o quantomeno il collocamento all’interno di un sito. In questo caso è palese che si tratta di una foto del ghetto di Varsavia.


Uno strumento alternativo per fare la ricerca inversa delle immagini è TinEye (dove tra l’altro si vede al volo che si parla di Warszaw…):

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Motori di ricerca per minori

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Il computer di casa è usato da tutti, anche dai miei figli minorenni? Come evitare che, accidentalmente (o meno…), nei risultati di Google compaiano immagini sconvenienti? Detto che esistono delle strumentazioni hardware, come il nuovo Routerhino, è anche possibile chiedere a Google di adeguarsi all’uso dei minori. SafeSearch è uno strumento che permette di escludere le pagine Web contenenti immagini porno. In base alle impostazioni predefinite, Google non applica alcun filtro. Per attivarlo, vai nelle impostazioni delle preferenze delle ricerche, raggiungibile direttamente da www.google.com/preferences, quindi concentrati sulla prima sezione: “Filtri SafeSearch”.

In alternativa si possono usare dei motori di ricerca studiati ad hoc per minori, che filtrano i contenuti proibiti. Ce ne sono diversi, questi i migliori. KidSearch cerca in una directory di oltre 2.000 siti in tre lingue (italiano compreso). BAOL (BAmbini OnLine, www.baol.it), con evidente citazione benniana[1], si presenta come il mago del Web, è dedicato ai bambini e ragazzi dai 9 ai 16 anni e funziona come una directory di siti consigliati. Dade (www.dade.it) non è un motore, ma si definisce un “motorino” di ricerca, anche se in realtà è una sorta di portale con Web mail e altri servizi. Google stessa ha pensato ai bambini, mettendo a punto www.safesearchkids.com.

Questo brano è tratto dal mio libro “Il guru di Google”, che trovi su tutti gli store online, compreso Amazon:

[1] Stefano Benni, Baol. Una tranquilla notte di regime, Feltrinelli

Che cosa sono i motori di ricerca semantici?

Google rappresenta lo stato dell’arte della ricerca online, non a caso ha sbaragliato la concorrenza. Ma da qui a dire che le ricerche siano perfette, ce ne corre. Anzi, possiamo chiaramente affermare che il meccanismo di ricerca è tutt’altro che “smart”, come si dice di questi tempi. Per interrogare l’oracolo Google dobbiamo usare parole chiave e codici ben precisi e i risultati non sono sempre pertinenti. Un grosso passo avanti può avvenire con i motori di ricerca semantici, vale a dire strumenti da interrogare con linguaggio naturale e che restituiscano risultati “ragionati”. Qualcuno prova ingenuamente a usare un linguaggio naturale con Google, scrivendo frasi articolate, ricche di punteggiatura e avverbi e altro, sostanzialmente perdendo tempo.

Il cosiddetto “Web semantico” (si parla di Web 3.0[1]) rappresenta il tentativo di aggiungere significato al Web, rendendo i contenuti comprensibili anche alle macchine, che devono quindi non solo contare le occorrenze, ma comprendere i significati, i contesti. Ragionare come (dovremmo fare) noi. Come? Grazie ai metadati: dati, come etichette, che descrivono altri dati. Un esempio in tal senso è Graph Search, il motore di ricerca di Facebook che permetterà un’interazione colloquiale: potremo chiedere di mostrare le “foto scattate dai miei amici a New York” per ottenere esattamente ciò che vogliamo, e che attualmente non potrebbe darci Google, perché non sa (ancora) quali sono i nostri amici.

Google, in realtà, è già più avanti di quanto pensiamo. Nel 2012 ha introdotto Knowledge Graph[2] (grafo della conoscenza), un sistema per associare parole e oggetti in modo da ottenere una ricerca più completa e coerente. In concreto, accanto ai risultati tradizionali della parte centrale della pagina di Google, sulla destra appaiono informazioni pertinenti all’oggetto della ricerca: a Leonardo Da Vinci sono associate anche le sue opere, altri artisti, il luogo di nascita e di morte e così via.

Un progetto interessante è quello di Wolfram Alpha, definito dal creatore – lo scienziato e matematico britannico Stephen Wolfram – come un “motore computazionale di conoscenza”: interpreta le parole chiave inserite dall’utente e propone direttamente una risposta, invece che offrire una lista di collegamenti ad altri siti come fa Google. L’era dell’intelligenza artificiale, di macchine che superino il mitico test di Turing[3], si sta avvicinando[4].

Questo paragrafo è tratto da “Il guru di Google”. Puoi acquistarlo su Amazon:

[1] Rudy Bandiera, Rischi e opportunità del Web 3.0 e delle tecnologie che lo compongono, Dario Flaccovio Editore

[2] www.google.com/insidesearch/features/search/knowledge.html

[3] Alan M. Turing, Computing machinery and intelligence, in Mind (1950)

[4] In realtà, nell’era dell’Internet of things, esistono già esempi di macchine, intese proprio come automobili, che funzionano senza l’intervento umano. Proprio Google ha lanciato il progetto di una “self driving car”: http://googleitalia.blogspot.it/2014/05/basta-premere-avvio-il-progetto-di-un.html